Per molte ragioni che la ragione non sempre conosce, ma che la politica farebbe male a sottovalutare, l’incontro fra Salvini e Orbán a Milano può diventare un simbolico anticipo dell’Europa che verrà alle elezioni del prossimo anno. E che in buona parte è già arrivata, se si pensa che il primo ministro d’Ungheria con il suo radicalismo anti-immigrati non è un marziano di passaggio, ma è stato eletto con il 49 per cento e oltre dei voti. Sull’onda della linea dura contro gli sbarchi, anche Salvini ormai naviga sulle vele di ampi consensi “a furor di popolo”. Il popolo che si rivolta contro istituzioni e poteri percepiti come lontani e insensibili, ecco la chiave morale e sentimentale del populismo non più strisciante, ma galoppante in tutta Europa.
Tuttavia, anche se Orbán si mette la cravatta verde chiaro in omaggio borghese al “suo eroe” -come definisce il Matteo italiano per aver ottenuto via mare ciò che lui ha raggiunto via terra, cioè il blocco degli stranieri-, la sua visione dell’Europa, se ancor più dovesse diffondersi in altre nazioni, sarebbe la fine dell’Europa. Un muro tira l’altro, e tutti i muri finiranno per fare del nostro continente una fortezza di impauriti. Gente che si chiude in casa e si rinchiude in patria per reazione all’indifferenza che i governi “europeisti” hanno finora dimostrato sul tema dei migranti e dei confini. Perfino Papa Francesco, che sull’accoglienza e sulla misericordia ha fatto il tratto straordinario del suo pontificato, ha appena ricordato che l’integrazione è la condizione per aprire porti e cuori, esortando alla “prudenza del governante per accogliere quanti possono essere integrati e, se non si può integrare, è meglio non ricevere”.
Invece i governi europei hanno alternato la retorica al cinismo. Da una parte fingendo di non capire le difficoltà che le ondate migratorie creano alle società accoglienti, se tali ondate non sono regolate con la mano sicura della Legge e con lo spirito invincibile della compassione. Dall’altra, negando qualsiasi solidarietà all’Italia. Anche nell’incontro a Roma fra Conte e Babis, il primo ministro ceco, nessun aiuto nel ricollocamento dei migranti è stato ottenuto. E’ il sovranismo dilagante: ovunque, ma non nel mio Paese.
L’Europa rischia di tornare a essere soltanto un’espressione geografica, se non riscopre la forza dei suoi valori: benessere, pace e progresso a più di settecento milioni di cittadini da più di settant’anni.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi