Sarà perché la pandemia è ormai alle nostre spalle. Sarà perché, come al solito, la politica preferisce correre ai ripari sull’onda dell’emergenza e dell’emozione, anziché prevenire e curare seguendo l’ordinaria amministrazione. Certo è che il saliscendi del governo sulla sanità non è una scelta incoraggiante.
E’ ben vero che per il 2023 la spesa prevista dal Def, il documento di economia e finanza, aumenterà di 4,3 miliardi rispetto alla nota di aggiornamento dello stesso documento fatta nell’anno precedente.
Ma a fronte del timido segnale, ecco che dal 2024 in poi si registrerà una discesa e poi un calo fino a un impatto sul Pil del 6,2 per cento nel 2026.
Tale discesa è motivata dalle minori spese per il Covid e dal venir meno degli arretrati per il rinnovo dei contratti nel triennio 2019/2021. Ragioni contabili che non fanno una grinza, però qui il tema è politico-istituzionale: che cosa deve fare lo Stato per tutelare la salute “come fondamentale diritto dell’individuo a interesse della collettività” (articolo 32 della Costituzione). La risposta è una sola: investire, cioè non diminuire le risorse, che sarebbe e sarà l’esatto contrario.
Per dar vita a quella politica sanitaria di grande visione, di cui tutti abbiamo capito la necessità in un altro e drammatico triennio, quello dell’epidemia 2020/2022, il governo dovrebbe impegnarsi a contrastare tutto quel che non funziona. Dagli inaccettabili tempi d’attesa per gli accertamenti ai pronto soccorso al collasso. Dalla mancanza di medici e soprattutto infermieri ai reparti degli ospedali insufficienti o, all’opposto, strapieni, mal organizzati, spesso privi delle più banali attrezzature.
Se è vero che non tutte le Regioni sono afflitte dalle stesse carenze, indiscutibile è l’esistenza di una grande “questione sanitaria” nel Paese. Che costringe troppi cittadini a ricorrere all’assistenza privata a pagamento, perché quella pubblica non va. Con l’aggravante di una classe medica e infermieristica che, in media, è di buona e a volte eccellente qualità. Ma se il resto della catena traballa, non basta il medico bravo.
Che la salute sia prioritaria, lo conferma anche l’introduzione dei Lep -i livelli essenziali di prestazione- che la commissione istituita dal ministro Calderoli dovrà indicare per la riforma dell’autonomia in Parlamento.
La sanità sarà proprio una delle materie da garantire in tutto il Paese.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi