In un Paese abituato alla normalità, l’esito delle elezioni di domenica in Umbria desterebbe curiosità per una sola e invidiabile ragione: chissà per chi voteranno i fortunati abitanti di una delle regioni più incantevoli d’Italia. Conseguenze umbre per il governo nazionale? Nessuna. Anche perché, nella Penisola, fra Comuni e Regioni si va alle urne di continuo. Ma non per questo cambia l’inquilino di Palazzo Chigi a seconda del vincitore.
Tuttavia, in Italia la situazione è imparagonabile col resto d’Europa. L’attuale legislatura non ha partorito una maggioranza politica ed è passata -per dovere di governabilità- da un anomalo esecutivo gialloverde a quasi il suo contrario, lo strano giallorosso. In più, l’Umbria non è un’isola, bensì l’undicesima regione di fila che si esprime negli ultimi due anni, cioè dopo il voto politico del 4 marzo 2018 ed europeo del 26 maggio 2019.
Come se non bastasse, a politicizzare l’altrimenti amministrativo voto umbro, non ci hanno pensato solo il centrodestra e Matteo Salvini, interessati a cercare di apporre un’altra vittoria al fitto carnet regionale, politico ed europeo: in tutte le citate prove elettorali, con l’eccezione del Lazio, il centrosinistra ha perso o comunque è stato superato dal centrodestra. A politicizzare l’Umbria ci hanno pensato proprio i leader dell’intesa in ballo fra Cinquestelle e Pd, che per la prima volta si battono insieme per lo stesso candidato-governatore. E che -assente Renzi- si sono presentati di persona all’ultimo giorno elettorale: Di Maio, Zingaretti, Speranza e il presidente del Consiglio, Conte. Il quale, così facendo, ci ha messo la faccia. Se andrà bene, potrà tirare un bel sospiro di sollievo. Ma se andrà male?
Dunque, a seconda dell’esito, il voto potrà confortare o indebolire un governo già alle prese con una complicata manovra in Parlamento.
Se l’Umbria farà cambiare direzione al vento elettorale che soffia da due anni nel Paese, anche l’accordo fra Di Maio e Zingaretti potrà prendere il largo. Ma se gli italiani ribadiranno che il governo continua a non rispecchiare la loro volontà, sarà più difficile per Conte, a sua volta alle prese col caso dei servizi segreti italiani/Trump/Russiagate, far finta di niente. Intanto Giorgetti, il più moderato dei leghisti, già prefigura un esecutivo realmente “tecnico” e dall’ampio consenso trasversale guidato da Mario Draghi per poi andare al voto anticipato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi