Perché dall’Europa all’America le donne che contano in politica si trovano più a destra che a sinistra

La nuova Margaret Thatcher si chiama Kemi Badenoch, 44 anni, ex ministra dell’Industria. L’hanno eletta pochi giorni fa a capo del Partito conservatore. Insieme con Giorgia Meloni e Marine Le Pen rappresenta un inedito: le tre principali forze politiche di destra di tre grandi Paesi d’Europa, rispettivamente Gran Bretagna, Italia e Francia, sono oggi guidate da donne. L’una, Meloni, governa. L’altra, Badenoch, ha governato. La terza, Le Pen, aspira a farlo. Nel mentre negli Stati Uniti l’elezione di Donald Trump e la pesante sconfitta dell’antagonista Kamala Harris hanno riconfermato, al pari della bocciatura della candidata Hillary Clinton nel 2016 sempre ad opera di Trump, che democratici e progressisti non riescono in ciò che per loro storia politica dovrebbe essere più facile: far eleggere una donna alla Casa Bianca.

In Europa, viceversa, Ursula von der Leyen, esponente di punta dei popolari, è stata riconfermata presidente della Commissione Ue. E Roberta Metsola, popolare pure lei, rieletta al vertice dell’Europarlamento. Ursula e Roberta, altre due donne che contano, e che non sono di sinistra. Le progressiste Kamala e Hillary sono, invece, finite in fuorigioco.

Nei fatti, dunque, i conservatori e i popolari si sono dimostrati più progressisti dei progressisti. Può essere utile cercare di capire cos’è successo, senza voler scomodare il mitico Giorgio Gaber, “ma cos’è la destra, cos’è la sinistra…”.

E allora: le destre, pur con toni e atteggiamenti ben diversi tra loro, spesso populisti, hanno saputo -come i popolari-, cogliere lo spirito del tempo, ossia il senso comune che poi è il buonsenso della maggioranza dei cittadini. Le sinistre euro-americane hanno invece perso la loro bussola in nome del politicamente corretto.

Hanno così sposato o tollerato la cultura della cancellazione -“mia colpa, mia grandissima colpa”-, riferita anche al molto di buono che ha fatto l’Occidente, e di cui dovremmo -secondo quella vulgata- vergognarci.

Hanno accostato al femminismo, forse una delle poche, autentiche e importanti rivoluzioni della nostra epoca, le questioni sull’identità di genere in modo acritico e ideologico. E soprattutto hanno liquidato con fastidio il grande problema della sicurezza, quasi fosse un capriccio borghese. Come se furti e rapine, scippi e violenze fossero solo “percepiti” e non vissuti e temuti da una parte considerevole della società, tra l’altro la meno ricca e più indifesa.

L’approccio irrealistico, cioè demagogico, sull’accoglienza indiscriminata e non regolata dell’immigrazione ne è il significativo corollario.

Di qua e di là dell’Oceano -ma in particolare di qua- regna, inoltre, un complesso di sussiegosa deferenza dell’intellighenzia progressista per l’Islam, scritto sempre con la maiuscola, a fronte dell’idiosincrasia per dio e il papa dimezzati con la minuscola e presi a schiaffoni. Pur rappresentando, Dio e Francesco, le radici cristiane e molto altro della nostra Europa.

C’è poi del vero, per limitarci al caso italiano, quando da sinistra si dice (vedi le bordate del comunistissimo Marco Rizzo), che i progressisti dovrebbero riscoprire il principio costituzionale dell’eguaglianza, anziché rispecchiarsi nell’effimera armocromia, lo studio dei colori per la persona, tanto caro persino alla giovane, combattiva e meritevole di credito politico, Elly Schlein, segretaria del Pd. C’è anche del vero quando si scrive che nei salotti radical-chic pochi sanno quanto costa un biglietto di autobus. “La sinistra riparta dai bar”, è stato il saggio grido di dolore di Pierluigi Bersani, già leader del Pd. Frequentare ciò che sa di “popolo”.

La novità che conservatori e moderati d’Europa puntino sulle donne per rilanciarsi, è segno di un’altra battaglia di sinistra vinta, invece, a destra.

E il lavoro, che fu la ragion d’essere dei socialisti e comunisti?

La sinistra ne ha perso il polso, che oggi rivive col sindacato. Salvo poi constatare che, in nome della giusta protesta contro il proprio datore di lavoro, gli scioperi nel trasporto pubblico finiscono per colpire i viaggiatori, cioè tutti gli incolpevoli utilizzatori del servizio. La sinistra sindacale sembra muoversi anch’essa fuori dal mondo reale.

Appare evidente quanto i progressisti abbiano smarrito la sintonia con la modernità dei tempi e dei temi che cambiano. Caduto il muro di Berlino nel 1989 e rivelatosi il fallimento cosmico del comunismo, gli eredi politici di quella tradizione si sono divisi tra riformismo e relativismo ideologico. Negli ultimi e troppi anni è il relativismo a dominare.

Quel “politicamente corretto” che, dall’Europa all’America, da Capalbio a Hollywood, è diventato insopportabile per la maggioranza anche elettorale dei cittadini.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige