E’ irrilevante stabilire se Robert Fico, il primo ministro della Slovacchia tra la vita e la morte dopo che gli hanno sparato nella città di Handlova, vicino a Bratislava, mentre salutava una folla di sostenitori, sia un populista di sinistra o un ex comunista convertitosi al radicalismo di destra. Non conta sapere se di questo controverso politico, il più noto del Paese, si debba oggi mettere in rilievo l’europeismo o l’euroscetticismo, avendoli cavalcati entrambi in momenti diversi.
Se debba, poi, prevalere il giudizio sulla sua posizione filorussa oppure sul suo atteggiamento xenofobo. Se si debba riproporre il suo contraddittorio passato, quando fu anche costretto a dimettersi per sospetti rapporti di alcuni personaggi a lui vicini con la ‘ndrangheta.
Quando a un politico eletto dal suo popolo si vuole chiudere la bocca con quattro colpi di pistola, il fatto cessa di essere di cronaca per diventare allarme rosso -rosso anche di sangue- per la politica e la democrazia in quanto tali. Perché la violenza, a prescindere dalle motivazioni che la creano o la spingono, è l’esatto contrario di tutte le regole degli ordinamenti civili che il mondo cerca, a fatica, di darsi.
Questo spiega l’universale “sgomento” che presidenti, primi ministri e leader di partiti stanno esprimendo in queste ore, e in ogni latitudine, per l’attentato. Senza nemmeno sapere -perché anche questo è ininfluente- perché lo scrittore, dato che tale sarebbe l’aggressore di 71 anni arrestato dalla polizia, abbia premuto il grilletto fino all’ultima scarica di odio possibile. Lui avrebbe spiegato il gesto, dicendo che “non condivideva” la politica di Robert Fico. Motivazione tanto grave, quanto la viltà che l’ha armato e animato.
Il diritto al dissenso e la possibilità di poterlo esercitare, sono proprio il baluardo che le istituzioni libere e liberali coltivano per disinnescare qualsiasi tentativo di violenza. “Non condividere” è proprio il pacifico antidoto alle pallottole.
Chi ricorre alla violenza ha torto sempre, sia che lo faccia a titolo di crociata personale e delinquenziale, sia in nome di presunte cause politiche, sociali o religiose. Nessuna cortina fumogena deve poter nascondere ciò che questa sorprendente vicenda purtroppo rivela.
Rivela che troppa violenza è da troppo tempo in libera e sottovaluta circolazione. Che le nostre società, governi e Parlamenti si sono assuefatti a tollerare ogni forma di aggressività, di insulto, di prevaricazione. Rivela che guerre e terrorismi finiscono anche per alimentare una filosofia di gratuita brutalità che prima o poi l’esaltato di turno crede di poter o dover incarnare per “fargliela pagare” al “suo” nemico principale e personale.
Come ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, siamo davanti a un evento di eccezionale gravità non solo per la Slovacchia, “ma per tutta l’Unione europea”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova