Difficile immaginare due personaggi più agli antipodi di Barack Obama, il presidente uscente, e Donald Trump, il presidente entrante. Eppure, a ventiquattr’ore dall’elezione più clamorosa nella storia degli Stati Uniti, che ha anche dimostrato il fallimento di un giornalismo salottiero e schierato incapace di capire come va il mondo e perciò di raccontarlo, i due carissimi nemici erano già uno a fianco dell’altro alla Casa Bianca. E Hillary Clinton, la sconfitta per sempre, è stata la prima a telefonare al suo acerrimo avversario per riconoscergli la vittoria. E il vincitore inatteso, Trump, ha elogiato Hillary “la combattente”, e definito “un grande onore” aver incontrato Obama.
Che invidia. Che invidia assistere a tanta dimostrazione di intelligenza non solo politica: finito il botta e risposta (e che botte Donald e Hillary si sono scambiati), l’interesse dell’America e dei suoi contrapposti cittadini viene prima di qualunque altra contesa. Questo significa avere il senso delle istituzioni. Le differenze tra i due restano, ma nessun odio può sopravvivere dopo che s’è pronunciato il popolo sovrano, ecco la più grande lezione di democrazia che viene dalla più grande democrazia del mondo.
Se noi invece pensiamo a come fu a lungo da molti trattato Silvio Berlusconi, un intruso appestato anziché il presidente del Consiglio scelto più di una volta dalla parte prevalente degli italiani, se noi pensiamo a come viene da molti considerato Matteo Renzi, un bullo abusivo invece che il premier scelto alle primarie del principale partito, e poi “ratificato” da un indiretto ma chiarissimo voto europeo, c’è di che riflettere. Paragonare è sempre azzardare. Ma il gelido scambio di consegne tra Letta e Renzi a Palazzo Chigi -stesso partito, oltretutto-, fa rabbrividire a fronte del reciproco riconoscimento fra Obama e Trump, gli opposti che più opposti non si può.
La politica italiana dovrebbe impararlo: nell’ora della verità -cioè dopo il voto degli elettori-, la nazione cancella la fazione. Berlusconi e Renzi potranno suscitare orrori contrapposti. Ma dopo il voto degli italiani, e previo via libera del Quirinale e del Parlamento, essi sono i “nostri” presidenti del Consiglio. Li continueremo naturalmente a criticare e contrastare con tutte le forze. Ma non a considerare dei marziani approdati per caso o per sbaglio all’Istituzione. Rispettare il verdetto della sovranità popolare, soprattutto quando non piace, è il più maturo atto di democrazia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi