Se la guerra “ha cambiato la sua natura”, come ha detto Emmanuel Macron alludendo all’aggravarsi della strategia criminale di Putin contro l’aggredita Ucraina, se l’Europa è a sua volta colpita dal ricatto energetico ed economico di questo “conflitto sciagurato”, come l’ha definito Sergio Mattarella, è evidente che l’Italia non possa perdere altro tempo per riavere un governo nel pieno dei suoi poteri.
Ma fare presto il nuovo esecutivo, non basta più: bisogna farlo anche bene. Le crisi che incombono richiedono una squadra all’altezza della grave situazione. E l’uscente Mario Draghi con la sua autorevolezza e competenza riconosciute in patria e all’estero ha segnato un prima e un dopo: dopo di lui, la compagine governativa non può arretrare per credibilità generale né per capacità dei singoli. E’ finita, si spera per sempre, la spartizione secondo la consistenza dei partiti di maggioranza senza troppo badare a mettere la persona giusta al posto giusto.
Sembra averlo capito Giorgia Meloni, destinata -previo incarico del Quirinale e incassata la fiducia del Parlamento- a diventare la prima donna a Palazzo Chigi. Dopo la non festeggiata vittoria elettorale, s’è chiusa nel silenzio rotto solo da discrete interlocuzioni con Draghi per un condiviso passaggio di consegne. Da allora la presidente del Consiglio “annunciata” ha passato giorni e notti (“non ci dormo, tanti sono i problemi”, ha confessato) per definire programma e nomi dei ministri. Prevedendo pure il ricorso a “tecnici”, ossia a personalità da coinvolgere per la loro bravura, criterio prevalente sull’appartenenza.
Eppure, questo buon inizio almeno nelle intenzioni non sembra convincere in pieno gli alleati. Da Lega e Forza Italia vorrebbero un governo tutto politico. Pretendono questo o quel ministero di peso. E fanno circolare candidature che rispondono più alla fedeltà per il capo-partito che non all’interesse della Nazione.
Queste mosse non sono una novità: lo scontro sul governo c’è sempre stato. Ma nuovo è lo scenario, drammatico, in cui l’Italia è chiamata a muoversi. Oggi ricercare il meglio è un dovere istituzionale.
E poi c’è sempre il Quirinale, che “nomina” i ministri “su proposta” del presidente del Consiglio. Sarebbe arduo far digerire a Mattarella scelte non all’altezza di ciò che l’Italia merita e richiede.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi