L’importante dibattito che l’”Alto Adige” ha aperto dopo la mia proposta di restituire al Liceo di Merano il nome con cui è nato e che ha avuto per decenni -Liceo Classico “Giosuè Carducci”-, può prestarsi alla polemica divertente, ma fine a se stessa oppure al franco confronto per trovare una soluzione. Come richiesto anche dall’annunciata petizione di tanti liceali di un tempo per riportare il Carducci al Classico.
Se avessi scelto la strada del divertimento, avrei scritto che nessun Liceo d’Italia ha mai fatto harakiri, cancellando la propria denominazione secolare. Che tale incredibile scelta del 2011 non è stata sottoposta al giudizio di tutti gli ex liceali, studenti e professori, di allora e la cui opinione forse avrebbe avuto un qualche peso. E comunque se fossimo stati interpellati per un sondaggio che elimina il nome storico di un Liceo, sarebbe stato surreale: il televoto si fa a Sanremo.
Né poteva suscitare scalpore, all’epoca, la decisione del Carducci cassato. Molti liceali si erano nel frattempo trasferiti e spesso affermati altrove, e pertanto non sapevano. E poi: che avrebbero potuto fare, i trasferiti e i rimasti, a decisione presa da parte di chi forse si è sentito investito di una missione da compiere, più che di un diritto che poteva anche non esercitare? Nessuna norma, né consuetudine, né analogo precedente in tutta Italia imponevano di togliere il nome secolare al Carducci.
In ogni caso nel 2011 nessuno o pochi avrebbero notato che si stava sradicando il nome alla più antica istituzione secondaria in lingua italiana dell’Alto Adige. Ma oggi, e proprio grazie all’evidenza solare del centenario in arrivo, tale circostanza si riaccende sotto gli occhi di tutti.
Come ho ricordato senza essere smentito, il Carducci di Merano è sorto dieci anni prima del più grande Liceo Classico della Repubblica, qual è il Giulio Cesare a Roma. Il Carducci è un piccolo, ma prezioso unicum in Italia, questo è il messaggio che mi piacerebbe passasse. Un’eccellenza di cui andar fieri, non di cui liberarsi come un elettrodomestico da rottamare. Da tempo nel nostro Paese s’è consolidata una cultura che tutela i beni storici e artistici, non che li demolisce: il tesoro della memoria, che è futuro. La memoria si alimenta, ma non si tocca. Si tutela.
Se, dunque, solo oggi in molti scoprono con stupore che il prossimo 20 maggio si celebrerà il centenario di un fantasma -ché il Carducci non c’è più-, vuol dire che l’evento promosso con grande merito dal dirigente scolastico, Riccardo Aliprandini, può essere suggellato con un atto bello, giusto e riconciliatorio: favorire il ritorno del Carducci esiliato.
Il centenario offre a noi tutti l’opportunità di un trasparente ripensamento all’insegna della verità storica e pratica. Nel Consiglio d’Istituto e nella città. Qui non siamo al “cosa fatta, capo ha” né al “chi ha avuto, ha avuto”. Ripensare è sempre opera di sapienza e apertura, non di debolezza. Errare humanum est, con quel che segue.
Oltretutto, io non metto in discussione la scelta del Gandhi onnicomprensivo di sei diversi indirizzi scolastici compiuta una dozzina d’anni fa. Gandhi, un gigante della non violenza. Rispetto le ragioni (e i torti) di chi agì con una certa leggerezza e molto ecumenismo: lo si potrà almeno dire col senno del poi e senza che nessuno si offenda.
Io chiedo, invece, e ripropongo di affiancare al nome attuale di Gandhi quello del Carducci per tutti gli indirizzi. O di restituire il Carducci al solo e orfano indirizzo Classico. O di lasciare il Gandhi per tutti, anche per il Classico, con l’aggiunta del Carducci al solo Classico.
Non si toglie niente a nessuno. Chi potrebbe risentirsi, se al Liceo torna il nome originario e di sempre in virtù non di un capriccio romantico di ex liceali, ma della realtà dei fatti storicamente incomparabili del Classico?
L’evocata par condicio per giustificare la tabula rasa (“anche gli altri indirizzi nel 2011 persero il loro nome a favore del Gandhi per tutti”), non regge. Parliamo di cose profondamente diverse tra loro: trattarle allo stesso modo, significa generare ingiustizia. Il Liceo rappresenta la sola unicità secolare nella tradizione scolastica e culturale di Merano e dell’Alto Adige. La rappresenta anche se i suoi allievi sono pochi -ma lo sono sempre stati!-, rispetto agli iscritti negli altri indirizzi. E proprio perché sono pochi continuatori di una storia importante e sempre condivisa con la città, essa merita di essere rispettata e valorizzata, non di essere buttata nel cestino.
Che festa è, se manca il protagonista, Giosuè Carducci? Perché è tanto difficile volersi bene e riaffermare con gratitudine da dove veniamo e come abbiamo studiato e vissuto, e viviamo? Anche per riconoscenza a professori che non ci sono più, e che al Carducci hanno lasciato esempi di dedizione e di saperi trasmessi per generazioni.
Non c’è un solo argomento convincente (a parte la traballante difesa d’ufficio dello status quo) per rifiutare una proposta che arricchisce, che include, che unisce, sommando al recente presente una memoria lunga e ininterrotta. Gandhi e Carducci che si danno la mano.
Basta con la sindrome del “facciamoci del male” e con la cultura della cancellazione, la “cancel culture” in versione meranese.
Se siamo felici del secolare compleanno, facciamolo senza cesure e senza censure. Valga l’intera nostra storia liceale, altoatesina e persino universale, visto che nel 1906 il Carducci fantasma è stato il primo italiano premio Nobel per la letteratura.
E vorrà pur dir qualcosa per chi ha fatto il Liceo Classico.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige