Se la guerra è ancora “la continuazione della politica con altri mezzi”, e dal Medio Oriente all’Ucraina la celebre e ottocentesca massima del generale prussiano Claus von Clausewitz purtroppo risuona attuale, non si comprende più quale sia la strategia del governo israeliano.
Mossi dal principio della legittima difesa, che contempla la reazione al terrorismo antisemita di Hamas dopo l’eccidio compiuto il 7 ottobre 2023 in Israele, le autorità di Tel Aviv si sono impegnate, impelagate e impigliate in una guerra senza confini. Una guerra cominciata con la caccia ai terroristi di Hamas, Hezbollah, Houthi e di qualunque altro nemico per interposto regime di Teheran. Ma che è subito deragliata tra gli incolpevoli di Gaza.
Fu Papa Francesco tra i primi ad implorare la democrazia israeliana a non confondere i criminali del 7 ottobre con i bambini, le donne, gli anziani palestinesi vittime non certo volute, ma frutto dalla controffensiva dell’esercito d’Israele. I cosiddetti “danni collaterali” possono riguardare le cose, ed è già intollerabile. Mai le persone, oltretutto estranee al conflitto.
Ora il governo di Benyamin Netanyahu, nell’attesa della preannunciata risposta armata all’Iran, replica la sua contestata politica -contestata dall’Onu all’Ue- anche in Libano. Con l’aggravante che i “danni collaterali” non colpiscono solo i libanesi a loro volta ben distanti da Hezbollah. Colpiscono pure il contingente Unifil dell’Onu.
E’ la missione di una cinquantina di Paesi decisa 18 anni fa per preservare quel che resta della pace e del Libano. Con oltre 1.200 soldati italiani sui circa 10mila siamo il maggior contributore di truppe (e il secondo economico). L’Italia ha un ruolo da protagonista.
Ebbene, per la seconda volta l’Unifil è stata presa di mira dall’esercito di Netanyahu. Due caschi blu cingalesi feriti, di cui uno grave.
“Unifil colpito per errore in scontri con Hezbollah”, hanno precisato le autorità di Tel Aviv. Che forse sperano nel ritiro del contingente per poter intervenire con mano libera in Libano.
Intendiamoci, si può e si deve oggi valutare il senso di una spedizione militare Onu dall’esito scarso, se non fallimentare: Hezbollah è diventata la milizia più forte in Medio Oriente, il che è tutto dire. Ed è la motivazione che spinge Israele a voler estirpare il suo peggior nemico.
Ma come hanno sottolineato i ministri della Difesa, Guido Crosetto, e degli Esteri, Antonio Tajani, indignati alla pari di tutti i governi occidentali per l’inaccettabile attacco subìto, l’Italia e l’Onu non prendono ordini da Israele. “Siamo in Libano e ci rimaniamo”, ha affermato Crosetto. Che aveva paragonato l’atto di Israele a un crimine di guerra.
Il rischio che ora corre il governo-Netanyahu va al di là dell’incredibile attacco all’Unifil e dell’ira italiana: far passare il suo Paese dalla parte del torto, pur avendo l’originaria ragione del 7 ottobre.
Il boomerang della guerra.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova