Nella Roma un tempo “ladrona” e ieri, come sempre, soleggiata, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha cominciato la sua lunga marcia per il “Renzi a casa!”. Così diceva una scritta gigante alle sue spalle in una Piazza del Popolo piena e simbolicamente importante: destra e sinistra l’hanno a turno riempita in passato, e da qui sono spesso partite le rispettive rimonte. Siccome la novità del comizio è che “l’altro Matteo” -com’è stato ribattezzato-, ora passerà dalla protesta alla proposta, è proprio l’alternativa che si vuole costruire quel che suscita i maggiori interrogativi. Salvini è un leader giovane che dice pane al pane, e che dimostra una discreta capacità nel saper interpretare il disagio e soprattutto le paure dell’elettorato di centro-destra. Un elettorato diviso, privo di un prevalente riferimento politico e vittima, come tutti gli italiani, della logorante crisi economica.
Ma per candidarsi al posto dell’attuale presidente del Consiglio e scalzare la sua maggioranza, ululare alla luna dell’Europa malvagia, dell’euro da seppellire, della Le Pen da imitare, del clandestino capro espiatorio di tutto ciò -moltissimo- che non funziona, non è ricetta di governo. E’ facile e infelice populismo. E’ terreno fertile per coltivare alleanze stravaganti, come quella con Casa Pound all’estrema destra. E’ grillismo in camicia verde, condito perfino dagli stessi “vaffa” dell’originale. Ma per quanto Salvini possa colpire l’immaginario di chi l’ascolta con frasi ad effetto e riempire il deserto lasciato dal dopo-Berlusconi, non basta la parola. Non basta, meno che mai, promettere un’”aliquota fiscale unica al 15 per cento”: e chi potrebbe non volerla, nel Paese più tartassato del mondo? Ma all’impossibile di solito si dedicano i poeti, non i politici. Quando ci si candida a guidare il governo, specialmente di fronte a un comunicatore abilissimo come Renzi, la strategia di spararle grosse non premia più.
Proprio le gravi difficoltà che gli italiani incontrano nella loro economia d’ogni giorno, dovrebbero imporre a tutti, ma ancora più agli oppositori, di dar vita a un’alternativa che non sia solo rivolta a guadagnare voti facili e subito. Magari vincendo la partita del Veneto, ma perdendo la finale di palazzo Chigi, quando sarà. Anche la credibilità delle cose che si dicono crea la fiducia della gente, e forma la coalizione destinata a realizzare “quel” programma. E poi adesso c’è qualche timido segnale di ripresina. Se l’economia riparte, chi glielo dice a Salvini che persino il “no all’euro” rischia di passare di moda?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi