Forse non c’era bisogno del premio che gli hanno appena assegnato a New York per sapere chi fosse Mario Draghi. Ma adesso che il presidente del Consiglio, volato negli Stati Uniti per intervenire all’Onu, è stato riconosciuto “lo statista dell’anno” dall’importante fondazione Appeal of Conscience -così importante che l’ex segretario di Stato e oggi novantanovenne Henry Kissinger s’è scomodato in carrozzina per elogiarlo in pubblico-, come non sottolineare l’amaro paradosso: abbiamo mandato a casa l’uomo che nel mondo è considerato un numero uno per la competenza e l’autorevolezza che ha dimostrato due volte.
La prima nei nove anni di guida alla Banca centrale europea senza cedere a nessuno. Neanche ai tedeschi, cioè i severi comandanti dell’Ue, che hanno sempre contrastato, ma non sono mai riusciti a fermare la sua lungimirante strategia economica. Salvo poi anch’essi riconoscere d’aver avuto a che fare con una persona di valore e averlo, infatti, applaudito nella sua seconda e non meno rilevante esperienza, stavolta politica: i 17 mesi a Palazzo Chigi. Un periodo che ha contribuito, con la linea rigorosa che Draghi ha seguito contro Putin e a fianco dell’Ucraina, a plasmare la posizione della stessa Ue. Arrivando a indicare lui anche ciò che sta diventando, a fatica, realtà decisiva: imporre un tetto al prezzo del gas.
Questo economista e politico senza partito, chiamato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come pronto soccorso del Paese a capo di un esecutivo di unità nazionale, è stato sgambettato sul traguardo della legislatura da forze della sua stessa maggioranza. E che i partiti si siano resi conto del grave errore compiuto, specie agli occhi degli italiani, lo testimonia un dettaglio: non c’è forza politica che rivendichi di aver fatto cadere Draghi. Al massimo dicono che è stato lui a volersene andare.
Lui, il responsabile del Piano di ripresa (Pnrr), della campagna-Figliuolo sui vaccini, dell’Italia di nuovo al centro della geopolitica in Occidente.
D’altra parte, la politica l’aveva già ostacolato in maniera trasversale, quando era il candidato naturale al Quirinale al posto di Mattarella che non voleva il bis. Adesso è Draghi a non volere il bis per Palazzo Chigi.
Premiato in America come l’italiano più bravo di tutti, defenestrato in Italia forse per le stesse, incredibili ragioni.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi