Meglio tardi che mai, meglio che il governo -per bocca del suo ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli- consideri finalmente “inevitabile” dichiarare lo stato di crisi per la grave siccità che affligge il Paese. Anche se non si sa, al di là della formale e per ora solo annunciata consapevolezza che c’è un’emergenza da risolvere, quali saranno le iniziative concrete dello Stato per rianimare non solo il Po, simbolo di una crisi dell’acqua ai minimi storici: non capitava da settant’anni che il fiume più lungo nel territorio nazionale scendesse a livelli così bassi.
Ma, emblema a parte, la siccità colpisce ovunque, fiumi, laghi, torrenti. Danneggia le colture. Nuoce alla salute del settore idroelettrico. Incide sull’organizzazione della società e la vita delle persone: già si registrano limitazioni nell’uso dell’acqua, specie nelle ore notturne, e appelli a evitare ogni spreco.
Tuttavia, sarebbe stravagante pensare di risolvere la grande e ciclica questione della siccità con le autobotti -che pure in alcune zone sono già state mobilitate- o raccomandando ai cittadini di non lasciare aperti i rubinetti. I comportamenti responsabili dovrebbero essere stati acquisiti da tempo e comunque sono del tutto insufficienti.
Né ci si può consolare con la solita tiritera delle ondate di calore (d’estate dovremmo forse aspettarci la neve?), degli anticicloni africani inattesi, della pioggia che in certe aree d’Italia non cade da tre mesi neanche nel pineto, per scomodare D’Annunzio: non è più tempo di lirica sui cambiamenti climatici sotto gli occhi e l’allarme di tutti.
Come spiegano gli esperti, la crisi dell’acqua si deve affrontare quando piove, non quando gli affluenti gridano aiuto. Perché per salvare l’interesse nazionale dell’agricoltura bisogna, prima di tutto, pianificare. Elaborare, cioè, un disegno di lungo periodo che preveda come sfruttare, anziché sprecare, l’acqua piovana con moderni sistemi di raccolta. E poi nuove tecniche irrigue e massimo coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni per porre fiumi e laghi al centro dell’interesse comune. Qui il federalismo delle acque non vale. Il Lago di Garda, che è il maggiore d’Italia, o l’Adige, secondo fiume dopo il Po, sono risorse di tutti e per tutti, non l’esclusiva dei territori che attraversano. Al Nord come al Sud: la siccità oltrepassa la topografia e il campanile.
Ecco perché tocca al governo il primo e l’ultimo passo per affrontare con sindaci e governatori un’emergenza che non è più un’emergenza.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi