Tutte le vittorie sono simili, ma non tutte le sconfitte sono uguali.
Avere la meglio in una delle tante elezioni in arrivo, non importa se regionali, comunali o europee, conforta sempre. Basta uno zero virgola in più rispetto all’antecedente voto amministrativo o politico (a scelta: i partiti fanno riferimento al precedente più comodo, ovviamente), ed è subito festa.
Ma, attenzione, la stessa cosa non vale all’incontrario. Aver perso una buona dose dei consensi che si avevano sia in Sardegna, sia in Abruzzo, com’è successo alla Lega a tutto vantaggio dei suoi alleati, non è come rischiare una batosta nel Veneto, che è la linea del Piave elettorale: o la Lega resiste o tutti a casa. Ci sono mali indolori, da Cagliari all’Aquila. Ma ci sono disfatte che possono portare i leghisti a naufragare nel mare di Venezia. E non sarebbe dolce quel naufragar.
Certo, non è più il tempo di eroi, come lo furono i Ragazzi del ’99 nella Grande Guerra. E poi qui si parla di conflitti che sono pacifici. Al massimo si sentono colpi di fioretto.
Ma che siano conflitti, è un dato di fatto. E che Matteo Salvini e Luca Zaia siano i protagonisti del braccio di ferro non dichiarato, proprio perché da entrambi negato, è ormai solare.
Il primo, che s’è battuto con forza, anche se non all’ultimo sangue, in Parlamento, per strappare il terzo mandato che avrebbe consentito la ricandidatura di Zaia nel Veneto (ma il Senato ha decretato a grande maggioranza il “no, grazie”), già prefigura una pur nobile via d’uscita per il non ricandidabile. Nuovo destino: Bruxelles. Là dove l’Europa costruisce il nostro futuro. “Zaia potrebbe fare tutto quello che vuole”, assicura il leader della Lega sul leader del Veneto. E cita le Olimpiadi in arrivo, i progetti della Regione rinvigorita dall’autonomia in cammino (sempre se non resterà a metà strada parlamentare). Ma soprattutto lo vede al Nord del Nord, “sarebbe utile un difensore del Veneto in terra d’Europa”, Matteo coccola il suo “Luca”.
E lui? Gli risponde non in veneto, ma in inglese: “I don’t know, non so, l’ho già detto, penso ad amministrare il Veneto”. Che è la versione soave e col sorriso sulle labbra del “mi candidano ovunque, ma io il lavoro me lo trovo da solo”, con cui l’allora presidente del Consiglio, Mario Draghi, respinse i ponti, pure essi d’oro, offerti dai politici. Salvo poi avergli precluso la sua “naturale” corsa al Quirinale, i politici.
D’altra parte, Salvini e Zaia appartengono allo stesso partito, ma hanno un punto di vista diverso su ciò che la Lega dovrebbe essere.
Nell’uno prevale la visione nazionale, nell’altro la prospettiva territoriale. Alleanze europee anti-progressiste nel disegno di Salvini-Le Pen contro il pragmatismo anche sui diritti di Zaia: vedi le opposte opinioni sul fine-vita.
Ma il campionario delle discordanze è lungo 843 chilometri.
La distanza in treno che separa Venezia da Bruxelles.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova