Non tutto è bene quel che finisce molto bene. La partita del Quirinale che Matteo Salvini ha giocato sempre all’attacco -salvo poi arrendersi all’evidenza che squadra che vince, Mattarella-Draghi, non si cambia-, ha già aperto l’inevitabile resa dei conti nella Lega. Non sul piano personale, anche se l’esuberante e comiziante leader del partito e del centrodestra appare come l’esatto contrario del riservato Giancarlo Giorgetti, il suo antagonista. Che ai bagni di folla del primo preferisce il dialogo con le istituzioni. Populismo contro pragmatismo, le passioni contro la ragione, il “prima gli italiani” contro il “prima l’Italia”: tutto sembra dividerli.
Ma adesso che Giorgetti ha chiesto al governo di cui è ministro “un nuovo metodo di lavoro per affrontare la nuova fase”, senza escludere eventuali dimissioni, il Re, cioè Salvini, è nudo: il pasticcio che ha combinato sul Quirinale suggella la fine della Lega di lotta (con Meloni) e di governo (con Draghi). Le due parti in contemporanea non reggono più. Specie se si pensa che l’ultimo anno di legislatura, decisivo per attuare il Pnrr e uscire dalla pandemia, coinciderà con l’arrivo del voto politico nel primo semestre 2023 e con ben 8 quesiti referendari su svariate e contrastate materie, se la Consulta ne darà il via libera.
Dunque, al massimo impegno su economia e sanità a cui sarà chiamato il governo, si sovrapporrà una campagna elettorale dura e duratura.
Ecco perché Giorgetti, ma la sua posizione è da tempo condivisa da Zaia a Fedriga, da Fontana a Fugatti, cioè dai governatori che per ruolo esercitato sono a contatto quotidiano con i problemi reali dei cittadini, vuole un chiarimento interno all’esecutivo che in realtà suona anche come un chiarimento nella Lega bifronte: navigare sul serio con Draghi nella tempesta -economica, sanitaria, elettorale- all’orizzonte? Oppure remare controvento e all’assalto con la destra di opposizione? Mario o Giorgia: la terza possibilità non è più ammessa.
Del resto, già su riforme importanti come quella del fisco e, in modo clamoroso, nella guerra contro il Covid la linea di Salvini risultò incomprensibile. Molti fra gli stessi elettori leghisti non hanno gradito l’attenzione che Salvini ha riservato alle proteste No Vax, mentre il 90 per cento degli italiani correva a vaccinarsi. Così come l’aver osteggiato la salita di Draghi al Colle, che Giorgetti, invece, caldeggiava. Due Leghe in una sono troppe: il chiarimento ricomincia da qui.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi