Anno nuovo, vecchi problemi, quelli di sempre che compromettono il senso stesso dell’“avere giustizia”. S’è aperto l’anno giudiziario nelle 26 Corti d’Appello e i magistrati hanno indicato che cosa non funzioni con un’equazione elementare, ma efficace: “Molti reati e pochi giudici”.
E’ così reale la situazione denunciata, che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha rassicurato le toghe. Entro due anni -ha garantito- il vuoto dell’organico sarà “colmato integralmente”.
Un vuoto che la magistratura rileva da anni, e che da anni le istituzioni e i legislatori a ciò preposti dicono di voler riempire. Ma se tutti sanno che cosa c’è da fare, perché non lo fanno?
Succede, semmai, il contrario. Anziché partire coi piedi per terra dai mali concreti che impediscono la serena e severa applicazione della legge e il buon funzionamento dei tribunali, i governi volano alto e s’inventano “riforme della giustizia” che quasi sempre peggiorano le cose.
“Bulimia riformatrice”, la chiama Giuseppe Ondei, presidente della Corte d’Appello di Milano, rimarcando questa propensione politica di ogni maggioranza in ogni legislatura a pianificare modifiche tanto radicali nella teoria (tipo la separazione delle carriere tra giudice e pm che oggi piace al centrodestra) quanto impotenti nella pratica. Eppure, per cambiare le cose, basterebbe chiedere ai cittadini che alla giustizia ricorrono.
Tutti si lamenterebbero dei tempi: un verdetto arriva alle calende greche, anziché italiane, specie nel civile. Molti direbbero che la certezza della pena è una barzelletta che non fa ridere. Altri che la vera parità da raggiungere non è tra difesa e accusa, bensì fra trattamento super-garantista riservato all’imputato e super-trascurato per la vittima del reato. Il che non impedisce nuovi casi-Tortora: la presunzione d’innocenza può essere calpestata ancora oggi, come accadde in modo infame quarant’anni fa col popolare giornalista del tutto estraneo alle accuse.
Dunque, non c’è bisogno di scavare molto per portare alla luce i mali endemici della giustizia in Italia. Tra i quali ora spicca il dovere di garantire la sicurezza ai cittadini e di punire femminicidi e frodi, secondo i principali rilievi dei magistrati. Ed è grottesco avventurarsi in guerre di religione fra destra e sinistra sul da farsi: se “i reati sono molti e i giudici pochi” la soluzione sta già nella denuncia, reclutando magistrati e potenziando i concorsi (a cui molti candidati si presentano con lacune persino in italiano e solo una percentuale bassissima ce la fa: 95% di bocciati l’ultima volta).
Dopodiché, certo che una vera e grande riforma è necessaria. Ma per farla, come ha detto Nicola Gratteri, Procuratore capo a Napoli, “occorre una visione organica del codice penale e del codice di procedura penale, con gli interventi-spot non andiamo da nessuna parte”.
Manca una certa idea della giustizia, e non solo i magistrati per applicarla.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova