A pensar male, si sa, si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Per non dare corda agli indovini, Matteo Renzi ha deciso di rinviare la riforma del fisco a dopo la prevedibile elezione del nuovo presidente della Repubblica, in modo che nessuno possa sospettare che norme dell’appena bloccato decreto attuativo del governo possano in qualche modo favorire l’imprenditore Silvio Berlusconi condannato per frode fiscale. I sospettosi paventavano una sorta di tacito scambio: salvare il leader di Forza Italia, magari per ottenerne il voto per uno dei candidati presentati dal Pd il giorno della seduta degli oltre mille grandi elettori in Parlamento. Invece no, nessuno immagini, e nessun pasticcio si disegni all’orizzonte: con la mossa di Renzi, la previsione dell’inciucio in arrivo si ridimensiona, prima ancora di divampare.
Ma se la scelta del previdente presidente del Consiglio, che comunque ha negato d’aver voluto preparare un antipasto fiscale a vantaggio del Cavaliere, cioè del prossimo commensale del Quirinale, “aggiusta” l’incidente della riforma fiscale, essa non può certo cambiare le carte in tavola, né i numeri in Parlamento. E allora l’ombra dell’accordo -o inciucio che dir si voglia- tra Renzi e Berlusconi inevitabilmente s’allunga all’appuntamento più rilevante della legislatura: decidere chi prenderà il posto di Giorgio Napolitano per sette, lunghi anni.
L’anteprima comincia a giocarsi già oggi, quando all’esame dell’aula del Senato va il testo dell’Italicum, che è la futura legge elettorale proveniente dalla Camera, ma nel frattempo modificata in commissione a palazzo Madama. Se tiene l’intesa nata con l’ormai celebre patto del Nazareno, pur con tutte le revisioni (soglia di sbarramento, ballottaggio, ecc.) intanto sopraggiunte, è chiaro che potrà reggere un accordo per il Colle. Per il tandem Renzi-Berlusconi in azione, sarebbe difficile spiegare perché la legge elettorale si possa fare insieme, ma il Quirinale no. Proprio per questo i dissidenti dichiarati o invisibili in entrambi i partiti, cominceranno a far sentire la loro artiglieria già sull’Italicum. Essi sanno che è la prova generale per capire se il presidente del Consiglio e il leader dell’opposizione più collaborativa siano forti abbastanza per controllare le rispettive truppe alle Camere. L’Italicum è la cartina di tornasole del Quirinale. Anche cronologicamente, visto che la partita per il Colle arriva poco dopo la legge elettorale, dal 13 gennaio in poi, quando sarà finito il semestre europeo di presidenza italiana, e Napolitano avrà, così, potuto dare le annunciate dimissioni. L’ombra sul Quirinale, ma a pensare male…
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi