Lo scambio di prigionieri tra russi e americani, piccola ma importante speranza che nulla è impossibile. Neppure in Medio Oriente

L’unica buona notizia sul Medio Oriente sempre più in fiamme, non arriva dal Medio Oriente. Mentre l’Iran giura vendetta sull’onda del funerale che ha accompagnato la salma di Ismail Haniyeh, il capo di Hamas ucciso l’altro ieri a Teheran da un’azione di Israele, a sorpresa Stati Uniti e Russia si scambiano 26 prigionieri in Turchia, ad Ankara, provenienti dalle carceri di 7 Paesi (di cui 4 europei).

E’ l’operazione segreta più importante dai tempi della guerra fredda. Segreta, eppur carica di speranza: significa che anche nel momento più buio in cui la pace sembra perduta per sempre -dopo i quasi due anni e mezzo dell’ininterrotto conflitto che Putin ha scatenato contro l’Ucraina, sostenuta dall’Occidente-, dietro le quinte i fronti contrapposti riescono ancora a parlarsi, e perfino a trovare un accordo.

Esistono, dunque, concreti spiragli di diplomazia possibile anche nei contesti in apparenza irrimediabilmente compromessi dal sangue, dall’odio, dal disprezzo proclamati a suon di violenza contro il “nemico” della porta accanto. Perciò, anche nella polveriera del Medio Oriente, dove non si scorge una via d’uscita dall’inferno, e dove ormai si rischiano ben quattro scontri in uno: dal Libano, dall’Iran, a Gaza e nel Mar Rosso. Tutti uniti contro Israele, che continua a colpire chi colpisce il suo territorio e attenta alla sua gente. Come ha fatto uccidendo a Beirut Fuad Shukr, comandante di Hezbollah e considerato il responsabile del bestiale omicidio dei bambini drusi che giocavano a calcio nel Golan.

Una rappresaglia annunciata e compiuta per far capire ai molti e dichiarati nemici dell’area che Israele non subirà mai più un altro 7 ottobre, quando i terroristi di Hamas colpirono, uccisero e rapirono inermi israeliani in Patria. Un vero e proprio crimine contro l’umanità.

Ma di rappresaglia in rappresaglia diventa sempre più lunga e pericolosa la serie di minacce e di ritorsioni promesse non solo dal regime degli ayatollah, che Israele considera la “longa manus” degli attacchi di Hezbollah, Hamas e Houthi via terra, via area e via mar Rosso. Diventa sempre più inaccettabile la lista infinita di vittime innocenti -bambini, donne, anziani- di ogni parte e luogo causate da guerre e terrorismi.

Il Medio Oriente brucia in uno scenario internazionale “distratto” dalla guerra di Putin in Ucraina. Dalle incertezze su chi sarà il presidente degli Stati Uniti fra meno di tre mesi (Donald Trump o Kamala Harris? L’effetto sui conflitti non sarebbe lo stesso).

Pesa l’inconsistenza geopolitica finora dimostrata dall’Europa. Eppure, noi stessi abbiamo 1.300 soldati italiani in Libano per contribuire alla sicurezza in una zona-cuscinetto con Israele.

Pesa, infine, la grande incognita di Xi Jinping sulle varie crisi in corso.

Ma se americani e russi si scambiano prigionieri, auspici gli europei, nulla è impossibile neppure in Medio Oriente.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Gazzetta di Mantova