Non c’era bisogno dell’intervento militare ordinato da Donald Trump per scoprire la polveriera del Medio Oriente. Ma dopo la rivendicata uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani a Bagdad da parte delle forze americane (“stava preparando nuovi attacchi, il suo regno del terrore è finito”, ha spiegato il presidente Usa), nessuno può più prevedere quanto l’incendio potrà divampare, né verso dove.
Da Teheran annunciano vendetta, tremenda vendetta e, intanto, due razzi si abbattono sulla superprotetta zona della capitale irachena che ospita una base americana, mentre altri 2.800 soldati nordamericani sono già in viaggio anche per rafforzare la protezione delle ambasciate nel mirino. Perché lo scontro è nato -va ricordato-, dall’assalto di martedì scorso all’ambasciata Usa a Bagdad ad opera di migliaia di manifestanti filo-iraniani. Un attacco che troppo richiamava il drammatico sequestro nel 1979, per ben 444 giorni, di 52 cittadini americani nell’ambasciata presa d’assalto e occupata a Teheran.
Ma la nuova, altissima tensione fra i due Paesi non è più riducibile, come forse un tempo, a una contesa a due, mentre il mondo sta a guardare. Basta ricordare che, non lontano da lì, la Siria è in guerra da otto anni. E Israele continua a essere minacciato nel diritto stesso alla sua esistenza. E militari italiani sono schierati in Libano per riappacificare animi incandescenti in una regione dove le fragili sovranità e i multipli conflitti religiosi sono infestati dal terrorismo frutto del sedicente e pur colpito Stato islamico (così Usa e Russia giustificano la loro influenza: per battere il fondamentalismo armato).
E poi le preoccupanti ricadute dello scontro Washington-Teheran in Libia e in Afghanistan, altri contesti in cui l’Italia è protagonista.
Dunque, quello che fa Trump, può riguardare anche noi e impone al governo non solo di elevare il livello di sicurezza -come annuncia d’aver già fatto- per i circa 7 mila soldati in missione in più di 20 Paesi, ma anche di comportarsi come l’Europa dovrebbe, se solo avesse una politica estera e una forza militare uniche: interloquire sul serio con l’America, invece che limitarsi a redarguirla o applaudirla. Far valere una posizione ferma ma differente, oltre l’occhio per occhio, che acceca l’universo, e il porgere l’altra guancia, che giova ai prepotenti.
L’Italia faccia sentire che una terza via è possibile per sradicare il terrorismo, senza che il mondo diventi un inferno.
Pubblicato su Bresciaoggi