Contrordine, dopo tanto tergiversare, ecco che la Lega è orientata a dire sì al governo di Mario Draghi. “Preferisco gestire 209 miliardi che guardare da fuori”, dice Matteo Salvini per spiegare la conversione del partito che ha tentato fino all’ultimo di mediare una posizione comune a tutto il centrodestra, in particolare con l’irremovibile Giorgia Meloni.
A fulminare Salvini sulla via di Roma è stato l’incontro con Draghi, “che è andato benissimo”, secondo fonti leghiste. Ma hanno pesato sia il via libera già decretato dall’alleato Forza Italia, sia le attese dei ceti produttivi, poco propensi a immaginare un’opposizione politica proprio nei confronti dell’italiano più competente per la ripresa economica, e molto influente a Bruxelles e nel mondo.
Ma il repentino ripensamento della Lega è frutto soprattutto del realismo. Archiviata la pur fondata richiesta di elezioni anticipate con le inoppugnabili motivazioni che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha illustrato in tv, il governo-Draghi è l’ultima carta per affrontare le emergenze vaccinale, economica e sociale. L’hanno capito tutti, compresi i pentastellati orfani di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, eppur pronti a sostenere Draghi. Sulla scena resta solo l’ostinata avversione della destra di Fdi, che si autoesclude.
Ma, in realtà, l’intero arco politico fatica a comprendere il nuovo corso. Oggi, e dopo quanto combinato nelle ultime settimane, i partiti non sono più in grado di “porre le condizioni” a Draghi per formare il governo, come vorrebbero. Al contrario, sarà lui a esporre il da farsi, e con quali ministri, rivolgendosi a tutto il Parlamento. Secondo lo schema dell’unità nazionale già indicato dal Quirinale e, stando ai sondaggi, condiviso dai cittadini. Che chiedono risposte serie e forti, non più banchi a rotelle o bonus monopattini.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi