Per fortuna ci sono le telecamere della stessa polizia a documentare che Matteo Falcinelli, studente di 25 anni, non ha usato violenza alcuna nei confronti di chi, a Miami, l’ha arrestato e incaprettato per 13 minuti come un pericoloso criminale.
Invece era solo un ragazzo che il 25 febbraio scorso s’è trovato al momento sbagliato con le persone sbagliate: quattro agenti che, all’uscita dal locale in cui Matteo aveva bevuto, hanno pensato bene di sbatterlo a terra e di premerne il volto sull’asfalto, secondo lo stile brutale che è purtroppo consueto alle forze dell’ordine negli Stati Uniti, prima di legarlo mani e piedi e di contestargli reati mai commessi, beata telecamera. “L’hanno torturato, gli hanno rovinato la vita”, accusa la madre.
Ma in attesa che il nostro connazionale di Spoleto possa far rientro in Italia dall’America, dov’era da tre anni per studi, e che possa superare lo choc di chi è costretto a subire la prepotenza istituzionale senza poter reagire, non è sufficiente che la Farnesina mobiliti il consolato per avere lumi sull’accaduto. Anche prendendo per buona la versione dei poliziotti, che sarebbero intervenuti perché chiamati dai buttafuori, in quanto il giovane avrebbe contestato nel locale l’importo di 500 dollari per la consumazione, chiedendo inoltre la restituzione dei due telefonini che nel frattempo gli avevano sequestrato nell’inevitabile trambusto.
Formalmente, Matteo è ancora in stato di “messa in prova”, pur libero anche di raccontare l’incubo e di denunciarlo alle autorità americane.
Ma che qualcosa sia andato storto nell’azione a testa bassa di quegli energumeni in divisa, lo dimostra l’indagine interna disposta dalla polizia di Miami.
Certo, non sarà la protesta delle autorità italiane -si spera veemente-, a far cambiare lo stile notorio degli agenti statunitensi. Il caso di George Floyd, afroamericano di 46 anni arrestato, immobilizzato e morto il 25 maggio 2020 in seguito al comportamento violento sempre di quattro poliziotti -uno dei quali sarà condannato a 22 anni di carcere-, ha fatto il giro del mondo per l’abuso di potere e il razzismo rivelati.
Ma l’America non è l’Egitto, dove il regime continua a coprire la morte orribile riservata a un altro nostro giovane connazionale, l’incolpevole e pure torturato prima d’essere ucciso, Giulio Regeni.
L’America non è l’Ungheria, dove la concittadina, Ilaria Salis, accusata di aggressione, lesioni in concorso e di far parte di un’“associazione estremista”, è stata portata in aula in catene.
Paese che vai, usanze poliziesche o penitenziarie che trovi, in barba alle convenzioni internazionali sul rispetto della persona e ai diritti inviolabili in qualunque parte del mondo. Stati Uniti compresi e per primi, perché lì la libertà dei cittadini è una cosa sacra e seria.
E perciò ferisce ancor più constatare quanto essa venga calpestata dall’Autorità chiamata a difenderla.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova