Quando a chiedere un “supplemento di saggezza” è il Papa, e su un tema sensibile e complicato come quello del fine-vita, l’interrogativo che sorge automatico è che cosa abbia fatto fino ad ora il Parlamento. E l’interrogativo acquista ancora più forza, quando si scopre che il testo già approvato dalla Camera per cercare di regolare la questione senza più lasciarla alla mercé dei magistrati giace, letteralmente, da sette mesi al Senato. E’ sepolto sotto una valanga di emendamenti, presentati da chi legittimamente dissente dal testo. Ma, di fatto, ciò impedisce sia un sì che un no alla legge. Hanno scelto di non scegliere: prevale la solita palude. Ma nel suo intervento a sorpresa Francesco non si è limitato a rivolgere un messaggio lungo e meditato alla Pontificia Accademia per la Vita. In modo problematico e di sicuro nuovo per un pontefice ha distinto con chiarezza: evitare accanimento terapeutico non significa praticare l’eutanasia. Sulla quale la Chiesa non ha cambiato il suo giudizio contrario, posto sempre a sacra tutela della vita. Ma la difesa del principio bimillenario e del valore non negoziabile della vita non può ignorare la drammatica e sofferente realtà di quanti oggi si trovano a non poter far valere la loro ultima volontà, proprio perché manca una legge che tracci un nuovo e più “saggio” confine tra lecito e illecito. Tant’è che non pochi malati senza speranza, o comunque non più disposti a subire un’esistenza da loro considerata invivibile, seguono da tempo la “via della Svizzera” per porre fine alla disperazione. Con ciò creando una doppia e inaccettabile categoria di malati: quelli che possono permetterselo, e gli altri costretti a non avere alternative in patria. Con la sua scossa Francesco fa traballare anche una grande ipocrisia. Nessun medico degno del nome e nessun familiare vero di una persona ammalatissima tiferanno mai per l’eutanasia: come potrebbero? Oltretutto, il progresso della scienza e una nuova cultura alimentare e salutista più avveduta hanno spinto l’aspettativa di vita oltre gli ottant’anni, come mai nella storia dell’umanità. La direzione del mondo va verso la vita, la più lunga e la più degna possibile. Ma non si può chiudere gli occhi a fronte dei casi strazianti come quello di Eluana Englaro, che otto anni fa indusse la magistratura, nell’inerzia prima e nella polemica poi del Parlamento, a decidere lei il da farsi. Il giudice, il Papa: e il legislatore quando?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi