Non aveva mai usato parole così forti, questo Papa che non ha paura delle parole. Respingere in mare i migranti “è un atto di guerra”, ha detto Francesco. Non l’ha detto come monito dal pulpito, ma incontrando i rappresentanti del Movimento giovanile dei gesuiti, quasi a voler trasmettere un insegnamento. L’ha detto senza leggere testi preconfezionati, conversando in libertà con i tanti ragazzi che da lui volevano sapere. E che ora sanno.
Non sorprende il pensiero di un pontefice il cui primo viaggio ufficiale fu fatto a Lampedusa, l’isola che raccoglie per prima -così hanno decretato la geografia d’Europa e la generosità degli italiani- la disperazione di chi scappa da conflitti, dalla fame, dalle malattie. Profughi ed emigranti d’ogni dove che sbarcano in continuazione con la sola speranza di sopravvivere. Andando laggiù papa Francesco volle dire al mondo: io sto con quelli, sto con le donne, i bambini, gli anziani che rischiano la vita e spesso la perdono in nome di un futuro purché sia, tanto tragico è il loro presente.
Ma adesso il pontefice ha compiuto un passo ulteriore, denunciando le responsabilità di chi si limita, quando si limita, a offrire pane e acqua ai naufraghi per poi rispedirli “a casa loro”. Non è difficile individuare i destinatari del richiamo. Sono i governanti di quell’Europa che alza muri e si rifiuta d’ospitare perfino piccole quote di rifugiati. Di più, li caccia indietro con la forza, come fanno i francesi a Ventimiglia e gli austriaci al Brennero con i migranti provenienti dall’Italia. Per non dire degli inglesi, che prevedono cinque anni di carcere per chi ospitasse “clandestini” in casa propria. Del resto, il governo di Londra ha dichiarato che non un solo straniero raccolto in mare sarebbe stato portato nel Regno Unito. Avvistato, salvato e depositato in Italia, of course, ovviamente. “Un atto di guerra”, avverte ora il Papa, che ha ben presente, al pari di tutti gli europei, chi sono i migranti: basta vedere le immagini in tv sempre diverse e sempre uguali. I criminali scafisti, le vittime assiepate e picchiate nei barconi, i morti buttati in acqua da vivi. E’ un film quotidiano dell’orrore di cui conosciamo da tempo il drammatico finale. Eppure, basterebbe poco per affrontare non il fenomeno, che è di dimensioni bibliche, ma la sua patologica emergenza di persone respinte sotto gli occhi e le telecamere di tutti. Non sono i soldi né i luoghi per ospitarli che mancano. Manca la volontà politica. L’Europa dei vili in trincea contro i figli di nessuno.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi