Negli ultimi cinque anni -ammoniscono gli esperti della protezione idrogeologica- non c’è Regione che si sia salvata da frane o inondazioni, da diluvi oppure abbondanti nevicate. A ciascun territorio il suo piccolo, grande disastro. Senza contare le vittime, gli evacuati a migliaia, i drammatici “danni collaterali” come l’incredibile crollo di viadotti. Senza dimenticare l’enorme e purtroppo insufficiente fiume non solo d’acqua, ma anche di denaro pubblico speso per correre ai ripari a tempo sempre scaduto.
Dunque, parlare di “emergenza maltempo” secondo il ritornello del governo di turno, e proprio mentre arriva l’inverno che anche in epoca di cambiamenti climatici porta con sé il freddo e le basse temperature, fa sorridere e allo stesso tempo indignare. Perché è sempre la solita storia che da anni, anzi, decenni (l’alluvione di Firenze non risale forse al 4 novembre 1966?), sentiamo raccontare. Non accadrà “mai più” -giurano tutti-, ciò che invece continua ad accadere sempre.
Né le migliorie avvenute nel tempo, come l’istituzione del ministero per l’Ambiente, una crescente professionalità delle autorità competenti e un’eccellente Protezione civile, bastano per mascherare la causa vera nella “straordinaria normalità” di eventi rovinosi: l’assoluta mancanza di una cultura della prevenzione. Una generale allergia politica alla programmazione climatica e strutturale, che invece implica controlli e manutenzione, non incuria e immobilismo. Non bastano gli 11 miliardi annunciati dal premier Giuseppe Conte per curare il male, anziché per prevenire bene.
Quant’è miope la politica del giorno dopo. Spendere negli anni per far fronte alle insidie del maltempo (che, a differenza di un terremoto, è evento prevedibile e misurabile), significa anche risparmiare rispetto ai continui e necessari interventi che si compiono a frana avvenuta e fiumi esondati. Meno soldi, meno impagabili dolori.
E’ ora che i partiti s’impegnino già in campagna elettorale sul tesoretto che intendono preservare ogni anno in ogni legge di bilancio per proteggere la fragile Italia: la vera “grande opera” negli anni a venire. Basta pensare all’esclusivo interesse elettorale del proprio collegio.
A tutti s’impone una svolta paradossalmente impopolare: investire su qualcosa che oggi appare inafferrabile, e che darà grandi frutti solo in un futuro lontano. Cercansi statisti sotto la pioggia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi