Arriva il concordato preventivo, ma siamo ancora lontani dal giorno in cui i contribuenti italiani, che appartengono al Paese più tartassato d’Europa, potranno dire “quant’è bello pagare le imposte”, come affermò un ex ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Subito tartassato -pure lui-, ma da critiche feroci.
L’incompreso intendeva dire che i cittadini dovrebbero gioire all’idea di partecipare, con una parte del loro denaro guadagnato, al mantenimento dei beni sociali e comuni: scuole, sanità, servizi di trasporto, sicurezza e tutto quel che dovrebbe farci ricordare che “lo Stato siamo noi”.
Poiché, però, molto di ciò che è pubblico funziona male nonostante le risorse spremute a una parte degli italiani in particolare del ceto medio (circa e appena 5 milioni di contribuenti si fanno carico del 60 per cento delle tasse), ecco che l’idea che si pretenda dalla minoranza dei paganti pure di far festa per loro e per tutti, e per avere in cambio servizi talvolta da quinto mondo, non può essere, ancora, di grande popolarità.
Ma un primo, timido passo potrebbe farlo il Consiglio dei ministri di oggi col via libera al decreto legislativo che attua la delega fiscale per il concordato preventivo biennale. Con adesione entro il luglio 2024.
Una piccola mossa, in realtà, che però va almeno nella giusta direzione di non tollerare più zone d’ombra né equivoci burocratici, permettendo ai contribuenti con partita Iva che magari non rientrano negli indici previsti o che si trovano in difficoltà, di accordarsi preventivamente e per 2 anni sui propri redditi con le Entrate. Si stima in 760 milioni il maggiore reddito.
Nell’attesa della nuova alba fiscale di uno Stato che richieda il giusto alla sua gente per una buona amministrazione, il governo non dovrebbe accontentarsi del minimo, il concordato preventivo in arrivo, bensì puntare al massimo inarrivabile: colpire sul serio l’evasione, che è la metastasi tributaria ben individuata (almeno 110 miliardi all’anno), ma finora combattuta a colpi di durissime, bellissime, ma impotenti parole.
Ormai da anni le manovre dei governi sono costrette a fare i conti senza l’oste evasore. Eppure, ogni volta la politica giura che la quota illegale e immorale di risorse sottratte, dunque a carico dei soliti tartassati d’Italia, sarà scoperta e perseguita.
Ma dei contribuenti “infedeli” alla fine i conti non tornano mai.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova