Pane al pane e Vannacci a Vannacci. Già si fa sentire sulla campagna elettorale europea l’effetto politico e pirotecnico della candidatura nelle liste della Lega del generale dell’Esercito e autore del discusso, ma molto venduto “Il mondo al contrario”. Matteo Salvini non fa in tempo ad annunciarne la presentazione in tutte le circoscrizioni -con ciò creando non pochi mal di pancia tra governatori e vertici del partito-, che lui, l’incursore Roberto Vannacci, irrompe con interviste e dichiarazioni in ogni campo, suscitando immediate polemiche. Entra a passo di soldato anche nei campi più delicati, esponendo l’irricevibile idea di classi scolastiche separate per i disabili. Ipotesi che provoca la dura reazione della Cei (“torniamo agli anni bui della storia”) e la bufera del centrosinistra.
Ma anche nello stesso centrodestra gli danno del “Capitan Fracassa” e il ministro dello Sport, Andrea Abodi, spera “che si sia espresso male, siamo agli antipodi”. In una successiva spiegazione il generale sottolinea che le sue parole “sono state completamente snaturate” e che lui non intendeva discriminare né separare nessuno. Vannacci, invece, conferma, di considerare Mussolini uno statista “come lo sono stati Cavour o Stalin e tutti gli uomini che hanno occupato posizioni di Stato, secondo la prima definizione del vocabolario”.
Ma è evidente che l’ingresso di Vannacci, sia pure come “indipendente” -precisa la Lega- nell’agone europeo con le sue riflessioni molto nette e dirette, da militare, su temi complessi che richiedono prudenza, approfondimento e confronto, va al di là del linguaggio e dei dizionari. Partiti e candidati si trovano a dover fare i conti col radicalismo, che nella sua versione assertiva di destra è diverso, ma non meno insidioso di quello piazzaiolo di sinistra.
E’ la tendenza, molto popolare e perciò spesso anche populista, a pensare di poter risolvere con interventi drastici e senza compromessi le grandi questioni del nostro tempo.
Il che può forse valere a fronte di indecisioni politico-strategiche per mancanza di coraggio o di visione, per non aver saputo costruire le necessarie alleanze per arrivare a una scelta. Il caso dell’Unione europea, priva ancora -con quel che succede nel mondo- di una politica estera unitaria, di un esercito comune e di un’economia davvero integrata, ne è preclara testimonianza. Lassù, a Bruxelles, certo che la politica italiana farebbe bene a battere più spesso i pugni sul tavolo.
Ma, per farlo con l’obiettivo non di apparire belli agli occhi degli elettori, bensì di portare a casa un risultato utile per l’Italia, oltre ai buoni argomenti e alla perseveranza nel sostenerli, bisogna saper creare intese. Con il radicalismo si finisce in prima pagina, ma non si va da nessuna altra parte.
Mancano solo 42 giorni al voto dell’8 giugno. Non c’è molto tempo per recuperare, con decisione, l’arte della politica.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova