E’ l’ultimo, prezioso testimone di un tempo e di una scuola che non ci sono più. Gastone Salvato, classe 1922, nato a Padova, s’iscrisse al Liceo Classico di Merano nell’anno scolastico 1935/36 e si diplomò nel 1940. Quando anche l’Italia entrava nella seconda e sciagurata guerra mondiale.
Sembra preistoria, ma per lui, il più anziano meranese che ha da poco compiuto 101 anni, quella era l’epoca dei suoi quattordici/diciott’anni. Che adesso rivive con pensieri intermittenti, eppur precisi, raccontati con voce tenue, ma ancora chiara. Senza rimpianti.
Il dottor Gastone Salvato, già primario di medicina all’Ospedale di Merano e da tutti conosciuto anche per l’amore con cui ha continuato a studiare la sua materia per tutta la vita, pone una sola condizione come pedaggio per aprire il libro dei ricordi, e il pedaggio io lo pago volentieri: “Scriva che anch’io mi batto per ridare al Liceo il nome che ha sempre avuto, Giosuè Carducci, dove abbiamo studiato tutti e tre, le mie sorelle Anna Maria e Nella, che non ci sono più, ed io che voglio difendere la nostra memoria”.
Chi di voi tre è stato il primo fare il Liceo?
“Quando io cominciavo il Carducci, Anna Maria, sorella maggiore, lo finiva. Era bravissima nelle materie letterarie, mentre Nella, la più piccola, era una sportiva. Campionessa nella squadra giovanile di atletica del Liceo, mi pare lancio del giavellotto, vero Chiara?”, si domanda e domanda a una dei tre figli presenti, che lo aiutano a ricordare i ricordi che lui stesso ha tante volte riferito in famiglia. Ma guai se Chiara ne interrompe il ragionamento, o non risponde subito alla sua richiesta di conferme. Peraltro ben poche e tenere richieste, se si pensa che l’ex liceale sta ricostruendo la sua vita di studi cominciata 88 anni fa.
“Nella mia classe eravamo una decina di studenti e una sola ragazza: Jolanda Schenk, di lingua tedesca. Era mia compagna di banco, teneva testa a noi maschi e ai professori. Con loro discuteva anche di filosofia e religione. Molto diligente, brava, studiosa, non si lasciava mettere sotto da nessuno”. Jolanda Schenk sarebbe poi diventata una molto apprezzata docente di italiano, latino e greco proprio al Ginnasio Carducci”.
Ma com’era il Liceo Classico di Merano nel 1935?
“Freddo, le grandi stufe venivano scaldate a legna. C’era un professore che ci faceva fare ginnastica per scaldarci. Nella pausa si poteva uscire in giardino, ma non si fumava tanto come adesso. E poi a casa tanti compiti nel pomeriggio, ma mai compiti per le vacanze. La scuola era in via delle Corse, che si chiamava via Armando Diaz. Ricordo anche il suono della campanella”.
Qual era la sua materia preferita?
“Il latino. I professori, e qualche volta il preside che entrava a sorpresa, ci facevano domande in latino e bisognava rispondere in latino. Ovidio, Tacito, Seneca, Tito Livio” (e Chiara annuisce per dare conforto al papà). “Invece i professori non ci facevano appassionare al greco. Si studiava tutto a memoria, terribile. Interi canti dell’Iliade, Dante, molte poesie. Dei professori ricordo Morpurgo di filosofia, Monticelli di latino e greco, la Pilla d’italiano e il preside Mattedi poi andato a Roma al Ministero dell’Istruzione, dove si occupava delle scuole in Alto Adige”.
Com’era il rapporto fra studenti e professori?
“Quando entravano in classe, bisognava alzarsi come forma di rispetto e di saluto. Davamo del Lei ai professori. E loro, quando ci interrogavano o chiamavano, davano del Lei a noi”.
Del Lei o del Voi, visto che erano gli anni del fascismo?
“No, del Lei. Non c’era obbligo di divise e si parlava poco di politica, erano i tempi del “credere, obbedire, combattere”, dice con ironia.
Molto studio: e lo sport?
“Facevamo ginnastica alla palestra di via Galilei. Giocavamo a pallacanestro e corse di atletica al Combi. Fuori dalla scuola il calcio e si andava in montagna. Ma a ballare no”.
Perché medicina dopo il Classico?
“A me interessava ingegneria, ma la matematica non mi piaceva tanto. Mi piacevano le scienze naturali. Avevo buoni voti. E imparare a memoria mi è servito. Per esempio per ricordare in anatomia i vari nomi dei muscoli”.
Ma lei era figlio di medici?
“Mio padre, Federico, era capostazione, dipendente statale. Mia madre, Angela Schiavinato, casalinga, tutti e due padovani. Mandarono i tre figli al Carducci”.
Si ricorda dell’esame di maturità?
“Molto duro. L’ho sognato per tanti anni. C’erano quattro scritti, mi sembra, e per l’orale tutte le materie degli ultimi tre anni. E poi c’era la guerra. Erano tempi difficili”.
L’intervista è finita, il dottor Salvato è stanco, ma fiero d’aver scavato nel lontano tesoro della memoria, dove custodisce ancora ricordi importanti di vita vissuta.
Un’ora di conversazione per un piccolo affresco unico di chi ha frequentato il Carducci “soltanto” 88 anni fa.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige