La Corte europea dei diritti dell’uomo, come preannuncia il nome stesso del tribunale, ha appena ricordato che c’è un diritto non ancora riconosciuto in Italia: quello delle coppie dello stesso sesso a vivere secondo norme di tutela legale. Per la mancanza di una legislazione al riguardo l’Italia è stata condannata in virtù di tre casi specifici, i cui diritti delle persone ricorrenti a vivere anche “formalmente” insieme sarebbero stati, così, violati.
Si dirà che tale sentenza non è definitiva, e che il pronunciamento dei giudici potrà essere impugnato alla Grande Camera europea. Si potrà anche dire che non spetta a chi guarda le cose dalle finestre di Strasburgo decidere l’ordinamento del nostro Paese nella realtà di tutti i giorni. E si potrà, inoltre, osservare che, a fronte del rilancio dell’economia, del lavoro, della sicurezza e di altri e importanti temi di vita quotidiana per gli italiani, il come e il quando legiferare sui diritti delle coppie omosessuali non rappresenti la priorità delle priorità per la maggioranza dei cittadini. Anche se un governo non agisce solo sull’onda delle priorità, posto che tutti i problemi di una moderna società meritano attenzione, riflessione e decisioni.
La sentenza della Corte diventi, allora, uno stimolo non già per trascurare le priorità economiche, né per tacitare le voci diverse che sul tema delle unioni civili esistono e resistono, ma per intervenire, finalmente, sulla materia. Perché il punto è che, a fronte del mondo che cambia e dei Parlamenti che legiferano ciascuno con le sue differenze anche semantiche (matrimoni, unioni, patti?), l’Italia è rimasta all’anno zero. Ferma e immobile, come se la questione delle coppie dello stesso sesso riguardasse il resto dell’universo e dei popoli, ma non noi. Come se il giudizio della bimillenaria Chiesa cattolica, un giudizio a sua volta degno della massima considerazione non solo da parte di chi crede, dovesse essere la definitiva Cassazione sul tema. Quando è la stessa Cassazione a modificare la sua giurisprudenza, persino sulla non necessità di operarsi per cambiar sesso all’anagrafe, come ha appena sentenziato sulla base di sensibilità, costumi, opinioni che mutano col passare del tempo. E’ ora, dunque, di affrontare la questione delle coppie omosessuali con il ragionevole buonsenso che il diritto attinge dalla vita, e che la vita aiuta a trasformare in diritto. Muoversi per non essere più gli ultimi della classe, e perché i diritti valgano nella patria del diritto.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi