Quando nacque, a Venezia, lo battezzarono subito in casa, perché era in gravi condizioni. Quando morì, a Vienna, lo seppellirono in fretta in una fossa comune. Di salute cagionevole come Leopardi e protagonista di una fine anonima come Mozart: è solo ai geni, in particolare a quelli incompresi nel proprio tempo, che bisogna associare la grandiosa parabola di Antonio Vivaldi, compositore e violinista tra i più amati, oggi, al mondo e adesso personaggio di un evento speciale, “Viva Vivaldi”, da poco inaugurato nella città lagunare e che durerà un anno. Un omaggio al musicista che vanta più di seicento lavori tra opere, concerti e sonate. E che subì il destino di tanti grandi. Inascoltato come capita ai profeti in patria -e lui era pure sacerdote-, e caduto in un lungo oblio, fu riscoperto e valorizzato due secoli dopo dagli studiosi italiani. Ad Alfredo Casella si deve il ritrovamento del “Gloria” di nuovo eseguito nel settembre 1939 presso l’Accademia Chigiana di Siena. Il “prete rosso”, così Vivaldi era soprannominato per il colore dei capelli, visse fra il 1678 e il 1741. L’esattezza delle date è precaria non meno della “strettezza di petto” che sempre lo tormentò (probabilmente l’asma).
“VivaVivaldi” vuole raccontare, ma soprattutto far rivivere il rinascimento in corso di un artista, Maestro e impresario nei sessantatré anni di una vita intensa e ricca quanto povera e solitaria ne fu la morte. Non è una classica mostra, bensì un viaggio tra narrazione audio, effetti e ricostruzioni virtuali, profumi e atmosfere per coinvolgere i visitatori nei capolavori musicali. Tutto è allestito nella casa quasi naturale per quel prete rosso, il Museo Diocesano a pochi passi da piazza San Marco. Una scelta voluta e non solo dovuta: dire dell’uomo e della sua fede divina nella musica, cercando di capire perché sia diventato un patrimonio italiano dell’umanità.
Il sentiero per immergersi nell’epoca di quel rivoluzionario inafferrato che -ricordano gli esperti- portò la ridondante musica del barocco, basata sui contrasti sonori, verso uno stile quasi impressionistico, caldo e luminoso, è diviso in tre parti e comincia dal chiostro.
Alcuni minuti di necessarie informazioni-audio sulla vita dell’artista e religioso (un utilissimo aiuto che andrebbe esteso a tutto il percorso), prima di salire alla sala denominata “Ritratto di un genio”. Dove anche il buio è contemplato per illuminare gli inizi del prete-musicista, la sua famiglia, la fatica nel respirare e le fonti dell’ispirazione a partire da Venezia, dove paradossalmente conobbe l’insuccesso più amaro. Camminando oltre, ci si imbatte in un video, dove un Vivaldi raffigurato bambino accompagna con gli occhi i momenti salienti della propria esistenza. Lo sguardo ripercorre il rapporto col padre barbiere, da cui apprese l’arte del violino, e poi le lezioni che il Maestro impartiva alle orfanelle dell’Ospedale della Pietà, mentre una ballerina incarna lo spirito della musica barocca. “Anche un genio è un mistero a se stesso”, è il titolo della seconda tappa.
Ma più che ai titoli, è alla musica di Vivaldi che è stata affidata la delicata missione di “voce narrante” nel cammino tra un salone e l’altro: la sfida più difficile. L’ultima e terza fermata è costruita per offrire il “dono del genio al mondo”. Non può mancare, allora, un passaggio d’ascolto delle Quattro Stagioni, l’opera che rappresenta il nostro “Inno alla Gioia” per l’impeto e il senso di felicità che trasmette.
“Immagini, suono, percezioni, tutto è stato pensato per costruire un percorso individuale al visitatore, perché diventi lui stesso regista di quello che sta vedendo”, racconta Gianpiero Perri, ideatore del progetto e direttore della società che l’ha organizzato (per informazioni: www.vivavivaldivenezia.com).
Alla ricerca delle emozioni perdute, dunque, tra spazi visionari ed esperienze sensoriali “per venire incontro alla sensibilità estetica del nostro tempo -spiega Perri-, e suscitare nuova attenzione sulla figura dell’artista, che non era certo un grigio educatore. Per venticinque anni ha allevato generazioni di musiciste, concertiste e cantanti”.
Un affresco su Vivaldi sacerdote del violino, compositore che influenzò Bach e numerosi suoi contemporanei, eppure uomo solo.
Un italiano fuori dal tempo, che il tempo ci ha fatto ritrovare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi