Finalmente si dice ad alta voce ciò che gli italiani sapevano, ma che per timidezza o per sciocco istinto all’autodenigrazione preferivano tacere: che il nostro vino è migliore di quello francese. Pertanto è il più buono del mondo (oltre che il più venduto).
Ma quando a dirlo è il presidente del Consiglio mentre partecipa al Vinitaly -evento, a sua volta, di valenza universale-, il concetto va al di là della battuta pronunciata. Anche col sorriso si possono comunicare cose molto serie. Eppure, per troppo tempo nelle istituzioni è mancato il pubblico elogio della creatività e del lavoro italiani con quello che rappresentano in ogni ambito, dall’industria alla cultura, dalla moda allo sport, dal belcanto al cibo e a tutto ciò che nel pianeta si identifica col nostro stile di vita. Ben venga, allora, un premier che rivendica d’indossare le mutande di Intimissimi, se con questa boutade si vuole trasmettere il tranquillo orgoglio di essere italiani.
Certo, un presidente del Consiglio non ha il dovere d’essere simpatico. Renzi non può presumere di piacere ai cittadini cavandosela sempre con frasi ad effetto: a un premier gli italiani chiedono ben altro. Ma questo non significa che chi rappresenta il governo non possa cogliere ogni occasione per sostenere anche con la goliardia di una battuta il made in Italy (oltre che con atti e fatti, si spera).
La questione delle mutande del premier arriva in una giornata politica particolare: la controversa riforma della Costituzione voluta da Renzi e dalla maggioranza, e osteggiata da tutte le opposizioni, s’avvia alla definitiva approvazione. L’ultimo braccio di ferro va in scena alla Camera, dove le opposizioni hanno scelto d’abbandonare l’aula al momento del discorso del presidente del Consiglio. Ma qui le mosse e le battute contano poco, perché lo scontro fra le parti avrà comunque uno sbocco obbligato: saranno i cittadini a decidere con un referendum non solo se confermare le modifiche della Costituzione, ma anche se lasciare Renzi a palazzo Chigi. Se gli italiani non saranno d’accordo, lui ne “trarrà le conseguenze”, come ha ribadito. Non potrebbe essere altrimenti, visto che il premier ha legato il suo destino politico alla volontà di cambiare l’Italia. Obiettivo che mai potrebbe conseguire senza il consenso dei diretti interessati, che saranno chiamati a dire la loro su un altro modo, e non meno rilevante, di intendere il made in Italy: quale architettura per la Repubblica.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi