Sarà un duello, e non di fioretto, quello che s’annuncia per i primi di settembre tra il repubblicano ed ex presidente Donald Trump e la democratica e vicepresidente Kamala Harris, che litigano pure su data e rete: Fox o Abc?
Ma, mentre gli americani già preparano i pop-corn per assistere al dibattito televisivo che potrebbe decidere chi fra i due candidati risulterà più convincente per “tornare” alla Casa Bianca il 5 novembre -dibattito che promette ai telespettatori ogni genere di colpi alti e soprattutto bassi-, negli Stati Uniti proprio in questi giorni di 50 anni fa si consumava un altro e drammatico scontro presidenziale: le dimissioni di Richard Nixon, azzoppato dalle sue stesse bugie svelate dallo “scandalo Watergate”. L’evento che cambierà almeno tre storie: quelle del giornalismo, della politica e del cinema chiamato a raccontarle.
Ma, mezzo secolo dopo, l’America è cambiata molto, come si può constatare dalla sfida fra Donald e Kamala. Dove ogni genere di bugia, di insulto, di denigrazione dell’avversario è contemplato. E’ lecito perfino ricorrere all’anagrafe come a un manganello: sono stati i quasi 82 anni rinfacciati al presidente Joe Biden a metterlo fuori gioco.
Nell’odierna politica sempre più cinica e turlupinata dai social, probabilmente suonerebbero meno gravi le accuse che allora portarono il repubblicano Nixon all’addio, dopo aver a lungo negato sue responsabilità nelle intercettazioni illegali a danno del Comitato nazionale democratico nell’albergo Watergate, compiute da cinque uomini vicini al suo partito, scoperti per caso e arrestati. Sempre che i novelli Bob Woodward e Carl Bernstein di oggi -così si chiamavano i giornalisti che rivelarono lo scandalo, resistendo a ogni tipo di intimidazione-, riuscissero a superare la prima e insidiosa barriera del nostro tempo: far valere la forza della notizia dagli attacchi di quanti subito urlerebbero alle “fake news”, cioè alla notizia fasulla, alla bufala pur di screditarla.
Forse è questa la principale differenza non solo in America: la crescente difficoltà di distinguere il vero dal falso in un mondo mai così informato. E l’ulteriore difficoltà di far capire l’importanza del vivere senza menzogna.
Basta, invece, seguire la campagna elettorale fra Trump e la da poco arrivata Harris per riscontrare il cumulo di bugie che i due fronti si scambiano con impudenza. Prevalgono il puro spettacolo e la derisione dell’avversario. La loro miglior difesa è l’offesa.
All’epoca del Watergate sarebbe stato impensabile anteporre lo show e la demagogia all’onesto tentativo di ricercare la verità dei fatti, e di narrarli, qualunque fosse il rischio del racconto.
Nixon ha avuto anche grandi meriti storici: dallo sbarco sulla luna al disimpegno nella guerra in Vietnam, all’apertura diplomatica alla Cina. Ma, cinquant’anni dopo, le sue dimissioni e bugie rievocano una politica e un giornalismo che non è retorico definire “di altri tempi”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova