L’arrivo di Trump alla Casa Bianca e l’Ucraina fra pace e resa

Quando Donald Trump, il prossimo 20 gennaio, avrà giurato come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, l’Ucraina avrà quasi cominciato il suo quarto anno di guerra. Il 24 febbraio 2025 saranno, infatti, tre anni esatti dall’invasione della Russia e dal quotidiano attacco che da allora Vladimir Putin ha scatenato contro gli aggrediti.

Il conflitto che non finisce mai, potrebbe però finire dopo il formale insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ma finire come?

Stando alle dichiarazioni di Trump, più nei panni popolari e pistoleri da John Wayne che non in quelli da presidente in pectore della nazione più potente al mondo, con l’amico Putin lui riuscirà a trovare un accordo “in 24 ore”. Su quali basi lo rivelerebbero le indiscrezioni più volte circolate e che, in sostanza, lascerebbero all’aggressore tutti i territori conquistati con le armi. All’incirca il 20% dell’Ucraina, a partire dalla Crimea fagocitata nel 2014. Si negherebbe, inoltre, a Kiev l’agognato ingresso nella Nato.

“Da Trump segnali positivi sull’Ucraina”, ha commentato, non a caso, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ma il gruppo dei consiglieri e probabili membri dello staff presidenziale di Trump ha subito smentito le ricostruzioni e persino le affermazioni dello stratega repubblicano, Bryan Lanza, secondo il quale “la Crimea non c’è più” nell’ipotizzato piano di negoziati. Come se ridare agli ucraini il territorio sottratto da Putin con la violenza e in barba al diritto internazionale, fosse un pedaggio troppo alto da pagare all’amico e alla pace.

Che Trump voglia mettere fine alla guerra, come del resto il mondo intero, è ovvio: chi può ancora sopportare la morte e il ferimento continui di militari e civili, la distruzione delle città più tutto il male che sta subendo l’Ucraina dal 24 febbraio 2022? “Ferma l’escalation in Ucraina”, ha chiesto Trump a Putin nella prima telefonata a sorpresa dopo l’elezione.

Ma per quanto Donald creda nel potere taumaturgico dell’amicizia, appare molto difficile immaginare che la pace potrà essere una pura capitolazione dell’aggredito. E allora perché e per chi si sarebbero immolati gli ucraini a difesa della loro Patria? E come giustificherebbero gli Stati Uniti e l’Unione europea il fiume di denaro e l’aiuto militare così a lungo concessi alla nazione aggredita? E la Nato il suo ruolo dissuasivo?

La partita è un po’ più complicata della semplice richiesta al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di sventolare bandiera bianca, sol perché l’aggressore è molto più forte e famelico dell’aggredito. E poi Trump ha davanti agli occhi, e più volte evocato, il vergognoso ritiro dei soldati americani e di tutti i loro alleati dall’Afghanistan. S’è visto com’è finita.

Di sicuro l’elezione di Trump e l’America saldamente nelle sue mani con il controllo del Congresso e la Corte Suprema di orientamento conservatore saranno la scossa che mancava per una svolta sulla guerra.

Ma quale pace è tutta ancora da stabilire. Altrimenti si chiama resa.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova