E’ stato un addio franco e onesto, com’è l’uomo, ma non memorabile né coinvolgente: un discorso rivolto alla testa, anziché al cuore, e meno che mai alla pancia, degli italiani. Nel suo ultimo messaggio televisivo dal Colle, Giorgio Napolitano ha confessato col candore del nonno ai nipoti la sua stanchezza fisica e politica dopo nove anni di un presidenza vissuta vertiginosamente. E con ben tre governi -Monti, Letta e Renzi- che ha dovuto quasi inventarsi per stato di necessità. Ottantanove anni compiuti e una crisi economica che da troppo tempo non fa prigionieri: davvero non si poteva chiedere al capo dello Stato di continuare nell’opera di supplenza e di sostegno a una classe dirigente alle prese con l’Italia in mezzo al guado.
Quando giunse al Quirinale, nel maggio 2006, Napolitano trovò un Paese migliore di quello che ora si prepara a lasciare. Bastino i dati sul lavoro che manca, precario, insufficiente per dare l’idea del passo indietro per tutti da allora a oggi. Ma anche per farci capire che cosa aspetta e spetta al successore di Napolitano: non più il ruolo di un presidente “accompagnatore” e ideatore di soluzioni di emergenza, ma una figura capace di promuovere iniziative e soprattutto tanta fiducia nei demoralizzati italiani. Chi verrà dopo re Giorgio, com’è stato soprannominato da amici e nemici per la funzione forte esercitata nell’ultima parte del mandato, non potrà limitarsi al pur necessario pronto soccorso stile sovrano richiamato in servizio in tempo di Repubblica. Dovrà aiutare la società a rimettersi in cammino e i partiti a indicare come farlo. Dovrà far sentire il peso dell’Italia a Bruxelles e dintorni. Dovrà tenere testa a un presidente del Consiglio molto attivo e mosso dai migliori propositi (ma i propositi, anche migliori, non bastano) per cambiare il Paese. Il giovane Matteo Renzi avrà bisogno di una sponda istituzionale proprio per la profondità e la difficoltà del compito che l’attende. Sapere, perciò, che al Quirinale avremo una personalità capace di spingere Renzi, oppure di frenarlo, è una buona garanzia per tutti. Per uscire dalla crisi l’uomo solo al comando è un’illusione che i fatti hanno smentito. Ma anche l’indecisione continua dei premier che si sono succeduti è un male nell’era globale. E allora il dopo-Napolitano richiede una figura un po’ alla Pertini e un po’ alla Ciampi, passione e rigore insieme, ma nuova nell’interpretare i bisogni e i sogni degli italiani fino al 2022. I governi passano, ma il presidente resta. Che il Parlamento lo scelga pensando al domani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi