Non bisogna avere paura di avere coraggio. E il coraggio che più conta in queste ore dolorose, è quello di dirsi la verità. E allora: certo che la strage di Nizza cambia le nostre vite, che già erano cambiate dopo l’eccidio del Bataclan (13 novembre 2015). E che già cominciavano a cambiare dopo l’attentato del 7 gennaio -stesso anno, stessa città: Parigi- alla sede di un giornale satirico fino a quel momento ai più sconosciuto, ma da quel momento “Je suis Charlie” fu la risposta dei più. I tre attentati del terrorismo di matrice islamica che hanno sconvolto il mondo dopo aver sconvolto la Francia, pesano molto e pesano sempre nei pensieri, nei comportamenti, nei progetti degli europei. Ma l’ulteriore gravità di Nizza, dove un uomo solo alla guida di un Tir ha falciato ottantaquattro innocenti ferendone più di duecento con un semplice e nichilistico colpo di accelerazione verso la morte, ci rende vulnerabili a prescindere da tutto. Possiamo avere i migliori 007 dell’universo, e forse noi italiani li abbiamo davvero. Possiamo sperare che i governi dell’Unione si scambino informazioni preziose e in tempo, e probabilmente hanno iniziato a farlo. Possiamo essere certi che il buon fiuto del poliziotto o l’istinto col quale il cittadino giusto al momento giusto coglie un pericolo incombente, siano importanti “armi preventive”. Ma chi può mai impedire a un assassino assetato di odio contro il libero Occidente di mettersi al volante del suo rancore per investire tutta l’umanità che trova davanti? Chi può, dopo Nizza, andare, per esempio, a un concerto all’aperto come quello di Bruce Springsteen al Circo Massimo di Roma stasera, senza rinunciare a buttare un occhio persino sul più innocuo camioncino di gelati? La strage del franco-tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel fa sanguinare l’idea stessa dello stare insieme, colpisce alla radice il concetto della festa popolare e spensierata quale la celebrazione del 14 luglio, storica presa della Bastiglia, coi balli e fuochi d’artificio presi di mira sul lungomare della notte e della morte.
Eppure, al Circo Massimo e ovunque si deve andare come prima e più di prima. Che importa se i ragazzi dovranno sorbirsi un “fai attenzione” in più dai loro genitori. Se i partecipanti dovranno essere guardinghi. Se le forze dell’ordine saranno chiamate a vigilare con serenità e severità. Le nostre vite sono cambiate, ma non cambieremo mai la nostra voglia di vivere.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi