Gianni Rivera è nato ad Alessandria e compirà 63 anni il 18 agosto. Mito del calcio con la Nazionale (sessanta partite disputate) e col Milan per diciannove stagioni, ha segnato il gol della vittoria nella leggendaria semi-finale con la Germania in Messico (1970, 4 a 3 per l’Italia). Già deputato col patto Segni e poi sottosegretario alla Difesa nel primo governo-Prodi per l’intera legislatura, Gianni Rivera è oggi consulente per le politiche sportive del Comune di Roma. Sposato, è padre di tre figli.
Per lei la parola Germania, calcisticamente parlando, evoca un sogno o un incubo?
“Quando un sogno si realizza concretamente come momento esaltante, cessa di essere tale. Quindi per me non evoca più un sogno. E non ha mai evocato un incubo”.
Ma quella partita al cardiopalma (4 a 3 in Messico, 1970), è stata la migliore nella storia dell’Italia? Oppure il 3 a 1 di Madrid, 1982, e sempre ai tedeschi, si fa ricordare meglio?
“Sul piano tecnico non è stata una grande partita. E’ stata una partita molto sofferta, questo sì. Che però ha avuto un merito: ha avvicinato tante persone al mondo del calcio. Ha creato notevoli emozioni. La gente andava in piazza a festeggiare. Prima non succedeva, e magari in piazza si combinavano solo danni. Italia e Germania fu importante soprattutto per questo: la riscoperta della gioia per tanti italiani”.
Anche lei l’avrà rivista in televisione, e più di una volta…
“Sì, ed è sempre emozionante. Anche per la forte partecipazione di Nando Martellini che la commenta…”.
Che vuol dire partecipare a un Mondiale per un calciatore della Nazionale?
“Credo che sia il massimo riconoscimento professionale ed emotivo a cui un giocatore possa aspirare. E poi rappresenta un appuntamento di eccezionale concentrazione”.
Il pubblico, lo spogliatoio, la critica: cos’è che può condizionare di più un giocatore nell’ora X, cioè quando l’arbitro fischia l’inizio?
“Quando comincia la partita, niente. E che si tratti del Mondiale o del campionato o di una partita di coppa la cosa non cambia. Certo, a seconda dell’importanza della gara, quando entri in campo la puoi “sentire” più di altre. Ma col fischio d’inizio tutto finisce come d’incanto. Il brivido, semmai, lo provi al momento dell’Inno nazionale. Quando sei all’estero, ti rendi conto di che cosa l’inno rappresenti anche per i milioni d’italiani che vivono nel mondo. E che seguono l’evento con straordinaria partecipazione”.
Fare l’amore prima di una partita: si può o si deve?
“Mai pensato. Sono quelle cose che non hanno alcun senso, ma fanno parte della letteratura”.
Letteratura soprattutto olandese, a quanto si diceva, anzi, scriveva…
“Sì, ma anche loro sono dei calciatori come gli altri. E non succede proprio niente se un atleta rinuncia all’amore per due o tre giorni”.
Mangiar bene prima di una partita: questo conta?
“L’alimentazione è fondamentale e non solamente prima della gara. Anche durante la settimana dev’essere sana e ben curata”.
Gli spaghetti sono sani?
“La pasta va bene, purché non la si riempia di quei sughi e di quelle creme che la rovinano. E che rovinano, in particolare, il nostro stomaco”.
Che effetto potrà avere sui giocatori lo scandalo scoppiato in Italia proprio alla vigilia del mondiale in terra tedesca?
“Nessuno. Loro faranno la loro partita. Intendiamoci, è inevitabile che qualche giornalista farà domande, e che potrà crearsi un po’ di tensione. Ma non influirà sul calcio giocato”.
C’è una ricetta per dire “mai più” a simili intrallazzi? Oppure il calcio ciclicamente ci deluderà con questi comportamenti della sua oligarchia?
“Certe cose purtroppo fanno parte del comportamento umano. E’ amaro doverlo constatare. Pensiamo, per esempio, alle guerre. Ne sono scoppiate di continue, e tutti a pensare e a sperare che, dopo l’ultima, non ce ne sarebbero state più. Eppure il mondo continua a essere pieno di guerre. E dove non ce ne sono, quasi se ne vanno a inventare. La negatività, la bestia che ciascuno di noi si porta dentro, qualche volta purtroppo prende il sopravvento. In tutte le attività che l’uomo svolge. Compreso lo sport”.
Ma ai ragazzi che s’avvicinano al pallone che diciamo: giocate, giocate, giocate? Oppure “state attenti al lupo cattivo”?
“Giocate, dobbiamo dire. Giocate, comportandovi secondo le regole. Quelle scritte e anche quelle non scritte, che però “valgono” altrettanto. Ma sa qual è il problema più grosso? Controllare il rispetto delle regole scritte e non scritte”.
Calcio e politica: attrazione inevitabile o fatale?
“La politica ogni tanto si interessa di sport, e a volte vi partecipa persino da tifosa. Se c’è un interesse, uno si fa vedere. Magari in tribuna”.
Lei ha fatto e fa anche politica. Calci ne ha più ricevuti o dati?
“Giocando non ho dato tanti calci, in verità. Quanto alla politica non ho dubbi: ne ho soprattutto ricevuti”.
Quanto sono forti, gli azzurri, per l’appuntamento in Germania?
“E’ una Nazionale che può fare un’ottima figura. I valori ci sono e la squadra l’ha dimostrato negli ultimi tempi, con la qualificazione e con altri incontri. L’Italia è tornata a essere una Nazionale benvoluta dalla gente. E ha saputo riorganizzare la “cultura dello spogliatoio”.
Secondo il giornalista Italo Cucci, Totti e Del Piero sono i nostri due poeti. Basteranno per fare il verso al Brasile?
“Due poeti non bastano: bisogna giocare sempre in undici…L’ideale sarebbe contare su undici calciatori coi piedi brasiliani. Ma dato che non è possibile, ognuno metterà in campo le sue caratteristiche. L’Italia può far bene”.
Chi è il Gianni Rivera della Nazionale, oggi?
“Non ho mai creduto a questi paragoni”.
Ma il suo stile lei lo rivede in qualcuno?
“No, non faccio confronti. Ogni calciatore ha le sue caratteristiche, la sua personalità, le sue sensibilità. Ed è giusto che sia così”.
Da dove potranno arrivare le più belle sorprese?
“Prima del Mondiale, e perfino dopo le prime partite che si saranno giocate, sarà difficile prevederlo. Secondo me le novità vere le scopriremo strada facendo. Speriamo che saranno gli italiani a mettere in mostra la sorpresa giusta al momento giusto”.
Quali sono le due o tre caratteristiche peculiari del calcio italiano?
“Col tempo le cose sono cambiate. Una volta c’era la caratteristica della difesa robusta, impropriamente chiamata “catenaccio” -che però rendeva bene l’idea-, e poi si pensava al contropiede. Negli ultimi anni è cresciuto molto il gioco di squadra. Oggi c’è un maggiore equilibrio fra attacco e difesa”.
E’ più difficile attaccare o difendersi?
“E’ più difficile fare gol, perché per fare gol non puoi sbagliare una mossa: tutto deve riuscire alla perfezione. In difesa anche se fai degli interventi non impeccabili, puoi comunque cavartela, e contenere i danni”.
Perché i rigori sono il nostro tallone d’Achille?
“I rigori sono anche un fatto mentale. Quando si tirano dopo tanti minuti di gioco, si può essere stanchi, e per questo capita di sbagliarli; a parte l’emozione del rigore magari decisivo. Rientra tutto nel gioco. Ma non credo che i rigori debbano essere considerati un nostro punto debole”.
Lei ricorda i suoi rigori sbagliati?
“Io ne ho tirati tanti e ne ho segnati molti. Ma anch’io ne ho sbagliati di importanti. E li ricordo”.
Qual è il segreto per tirare bene un calcio di punizione?
“Occorre una tecnica superiore alla media. Una tecnica specifica, che si acquisisce o si perfeziona anche con l’allenamento”.
E per fare il regista della squadra?
“La vista. E la testa alta. Mentre guardi dritto davanti, devi vedere anche i due lati. E talvolta devi avere occhi che sappiano cogliere pure quel che sta succedendo dietro di te”.
Tolti i presenti, chi è stato il più grande calciatore di tutti i tempi?
“Pelé”.
Così secco? Nessun dubbio su Maradona?
“Il confronto può esserci, ma Pelé è stato un calciatore completo. Era bravo con tutti e due i piedi, era bravo a tirare con i due piedi, era bravo di testa. Dico di più. Una volta l’ho scoperto portiere. Ed era bravo anche come portiere!”.
Tolti sempre i presenti, chi è stato il migliore giocatore italiano?
“Non c’è. Nel passato e nel presente ci sono stati e ci sono diversi giocatori che rappresentano il calcio italiano ad altissimo livello. Ma non riesco a fare una classifica. L’unico giocatore che considero al di sopra di tutti, è Pelé. Gli altri fanno parte, chi più, chi meno, del buon mucchio”.
Trentasei anni dopo si può rivelarlo: quella staffetta in Messico tra Mazzola e Rivera fu una grande intuizione o un grande errore?
“Io lo dissi subito, ogni volta che se ne parlava: è stata una cosa senza senso che per fortuna ha funzionato. Ma stabilire prima ancora di cominciare una partita che uno giocherà il primo tempo e che l’altro entrerà nel secondo, non aveva e non poteva avere significato. Tuttavia, la politica federale di allora, e la critica del tempo questo volevano e chiedevano. E così è nata casualmente la staffetta, che pure ha funzionato. E che abbia funzionato l’ha dimostrato proprio il fatto che nell’ultima partita col Brasile non si applicò…”.
E l’Italia perse. Ma con quel Brasile si sarebbe perso comunque. O no?
“No, non si può mai dire. E comunque non c’è la controprova. La stessa partita giocata un’altra volta nello stesso campo può dare un risultato completamente diverso. Il calcio è fatto così”.
Quanti anni aveva il Rivera messicano?
“Ventisette”.
Pubblicato il 4 giugno 2006 sulla Gazzetta di Parma