Se la Sicilia non è più un’isola, come indica il voto appena archiviato e ultimo test prima delle politiche di primavera, vincitori e vinti avranno lo stesso problema: chi guiderà chi. E come arrivare a una maggioranza non per prevalere, ma per governare.
Nella Regione, dove il centro-destra strappa il primo e vigoroso posto (40 per cento dei consensi) inseguito dai Cinque Stelle col 34,6, ma col 53 per cento degli elettori che non vanno a votare, si sono svolte le prove generali del cosiddetto Rosatellum. E’ la legge elettorale che, a livello nazionale, indurrà due dei tre grandi contendenti a mettersi d’accordo, turandosi il naso.
Seguendo l’esito siciliano, potremmo avere un esecutivo tra il rinforzato Berlusconi e l’indebolito Renzi (o chi per lui). Un’insolita intesa tra chi vince e chi perde, pur di lasciare il partito di Grillo fuori non dai giochi -impossibile: gli italiani lo votano-, ma da Palazzo Chigi.
Nel laboratorio siciliano il centro-destra conferma d’avere il vento di nuovo in poppa grazie a un apprezzato candidato di destra per la presidenza della Regione. E grazie all’unità ritrovata dei suoi sostenitori. Ma la Sicilia, dove Forza Italia ha fatto il pieno nella coalizione, non è il Veneto né la Lombardia. Qui, la Lega non più Nord ha un peso inversamente proporzionale alla scarsa influenza registrata, invece, laggiù. Il successo, perciò, darà alla testa. Anzi, alle teste di Berlusconi, di Salvini e di Giorgia Meloni, che può vantare d’aver imposto il candidato giusto in Sicilia, il neo-presidente Musumeci. Ma per gli alleati che brindano, ora s’apre la partita del candidato per Palazzo Chigi. Con Berlusconi che vuole la prima fila.
Anche l’insuccesso può dare alla testa. Il centro-sinistra ha raccolto solo il 18,6 per cento dei consensi. E un terzo di quei voti d’area li ha presi la sinistra (il 6,1 per cento). Perfino sommati -insegna la lezione siciliana-, i rappresentanti dell’attuale maggioranza a Roma risulterebbero sconfitti. E poi sull’ipotetica intesa fra Pd e sinistra pesa il fattore Renzi. Così in difficoltà, il leader del Pd, che Di Maio ha usato la pesante batosta elettorale dell’avversario da alibi per sottrarsi all’annunciato duello televisivo. “Non è più lui il competitore”, ha spiegato il fuggitivo. Piccata la replica: “ Di Maio ha paura del confronto”. Ma per Renzi il vero regolamento di conti non è con gli altri: è col “suo” centro-sinistra. Guai ai vinti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi