Dall’alto dei suoi trentasei anni in Parlamento da deputato e ora senatore, Pierferdinando Casini, che pure ha votato la fiducia al governo giallorosso, aveva ammonito con vecchia saggezza democristiana: Giuseppe Conte eviti solo una cosa, di sbilanciarsi troppo a sinistra.
Chissà se è questa la chiave, o l’alibi, per capire quel che sembra incomprensibile: il possibile distacco dell’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dal Pd di cui è stato anche segretario nazionale.
Sì, proprio lui, il grande artefice dell’”intesa col nemico” -cioè coi Cinquestelle- alla base della nuova maggioranza, s’appresterebbe a battezzare i suoi nuovi gruppi parlamentari. Destinati, se accadrà, a sostenere la coalizione da lui stesso voluta, ma da posizioni diverse dal Pd. Col rischio, tuttavia, di indebolirla, la coalizione. Ma come, il Conte bis non fa in tempo a salpare che il suo maggiore sostenitore va già in solitaria?
In realtà, il malessere di Renzi, che ha perso tutti gli incarichi politico- istituzionali sull’onda del fallimentare referendum costituzionale, ma a cui nessuno può oggi negare di esercitare un ruolo politico con un discreto numero di parlamentari al fianco, non è una novità. L’idea di dar vita a una “cosa sua” alla prossima Leopolda, s’è rafforzata negli ultimi giorni con tre gocce oltre il vaso della sua impazienza.
Il primo è il Bandiera Rossa cantato alla festa dell’Unità a Ravenna, presente e sorridente il leader Zingaretti. Il secondo è la nomina dei sottosegretari d’ogni ragione e regione, fuorché della sua Toscana. Il terzo è la prospettiva, facilitata dalla presenza di Leu al governo -cioè gli ex scissionisti dal Pd- di un ritorno a casa di D’Alema e di Bersani. Se dovessero tornare, “sarà giusto discuterne”, è stato il lapidario avvertimento della renziana Maria Elena Boschi.
E così, mettendosi in proprio, Renzi eviterebbe fraintendimenti a sinistra. Luogo, peraltro, che ha sempre frequentato con parsimonia. E poi punterebbe a diventare una più credibile calamita verso i moderati dell’altra sponda, la fetta di Forza Italia restia al populismo di Salvini-Meloni. Infine, Renzi conterebbe di spingere il governo su una linea riformista e non progressista, e i Cinquestelle al realismo.
Nuovi propositi e grandi incognite dietro l’annunciata scissione di Renzi. Che rispecchia soprattutto la fragilità politica della legislatura.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi