La riforma della scuola s’è conclusa così com’era cominciata: tra le polemiche. A parte i cortei che in queste settimane avevano visto manifestare professori e studenti, l’ultimo atto della legge approvata ha portato il caos nell’aula della Camera con le opposizioni e alcuni deputati Pd contrari alla novità. “Centomila assunzioni, più merito, più autonomia”, ha invece riassunto un compiaciuto Matteo Renzi, il presidente del Consiglio che considera la svolta come lo sforzo strutturale “più grande” dell’intera storia repubblicana, addirittura.
Come sempre quando persino le sfide più importanti e condivise si colorano di ideologismo -c’è forse qualcosa di più importante della Scuola di noi tutti?-, la verità sta un po’ nel mezzo. Nel senso che non siamo né di fronte a una rivoluzione epocale come lo fu, per esempio, la riforma-Gentile. Né a un cambiamento da buttare nel cestino prima ancora d’averlo sperimentato. Fermo restando che il cambiamento era necessario, oltre che da tutti invocato. E che l’aver almeno abbozzato un principio di responsabilità, qui individuato soprattutto nella figura del preside, non è un male per un’istituzione e un Paese nei quali mai nessuno risponde di niente. Ma quanto l’annunciata “buona scuola” potrà essere davvero buona, non lo dirà la solita politica divisa e faziosa. Lo diranno due circostanze oggettive: in che modo il governo riempirà le ben nove deleghe legislative che dovrà compilare entro diciotto mesi. E come la riforma sarà applicata nelle aule di giorno in giorno. Perché alla fine le norme camminano sulle gambe dei docenti e degli alunni, che sono, in particolare i docenti, i maggiori e autentici “responsabili” del funzionamento della scuola. Diradatosi, dunque, il fumo a dismisura sia delle polemiche sia dell’incenso, già in autunno con l’inizio del nuovo anno potremo cominciare ad annusare se c’è dell’arrosto. E magari, strada facendo, cucinarlo meglio proprio grazie alla nuova esperienza a cui saranno chiamati i professori, che sono e restano la spina dorsale dell’istituzione. Se son rose, pragmaticamente, fioriranno. Altrimenti si tornerà a riformare la riforma, prassi peraltro seguita da ogni esecutivo e quasi sempre peggiorativa di cambiamento in cambiamento: forse anche per questo il legittimo pessimismo di chi dissente, avendone viste e vissute troppe, di deludenti riforme.
Ma intanto si potrà presto accertare se ai propositi (“assunzioni, merito, autonomia”), seguiranno i fatti. Far parlare i fatti per avere un giudizio vero e non un pregiudizio urlato sulla “buona scuola”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi