La riapertura di Notre-Dame (con la notata assenza di Papa Francesco): un viatico per l’Occidente

Non è simbolica solo per la Francia la riapertura della cattedrale Notre-Dame dopo cinque anni di lavoro. Ripartire dopo l’incendio che la colpì a sorpresa nella primavera del 2019, e restaurata più protetta di prima, sembra la metafora del fuoco inaspettato che da oltre due anni -dall’inverno del 2022- divampa ai confini dell’Europa. E che per diverse, ma non meno tragiche circostanze s’è scatenato pure in Medio Oriente.

Un fuoco che l’Occidente ha il dovere di contribuire a spegnere quanto prima e nel miglior modo possibile: se non è il “restauro della pace” a dover muovere i Paesi che da decenni hanno superato i conflitti che li avevano insanguinati dalla notte dei tempi fino al 1945, quale altro valore la nuova Europa dovrebbe far valere nell’ora più buia?

La metafora che, se risorge Notre-Dame, può risorgere anche la speranza di oltrepassare l’inferno delle guerre contemporanee, è stata incarnata dalla presenza di non pochi dei protagonisti chiamati ad intervenire.

A cominciare dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, volato a Parigi per la sua prima visita ufficiosa (s’insedierà il 20 gennaio) per finire proprio con Volodymir Zelensky, il presidente dell’Ucraina aggredita dall’invasione armata di Vladimir Putin.

Ombre russe non solo alla frontiera dell’Unione europea. In Romania la Corte Costituzionale ha annullato il voto di fine novembre col sovranista e filorusso, Calin Georgescu, in testa al primo turno in attesa del ballottaggio cancellato per le interferenze di Mosca, che non avrebbero consentito di garantire la validità e la legalità delle elezioni.

Una decisione senza precedenti, che ha provocato dure polemiche a Bucarest, ma che testimonia quanto sia sentito in concreto il timore dell’influenza putiniana in contesti diversi tra loro. Come del resto conferma il ruolo anche della Russia di guardiano militare e politico, assieme all’Iran, del regime di Damasco nella Siria dilaniata dal conflitto. Un conflitto riacceso dall’offensiva jihadista, e diviso proprio dalle opposte influenze straniere: Turchia e Stati Uniti vogliono la resa di Assad.

Ecco perché, a fronte di una geopolitica che, tra guerra, assedi e sfere di influenza sta balcanizzando parti significative del mondo, l’incontro di Notre-Dame rappresenta anche un viatico per rilanciare l’imprescindibile ruolo europeo nella strategia occidentale.

Certo, si fa fatica a immaginare un’azione incisiva di Francia e Germania in piena crisi politica ed economica, visto come se la passano l’impopolare presidente Emmanuel Macron in patria -senza un primo ministro appena sfiduciato dal Parlamento- e l’indebolito e impopolare pure lui cancelliere Olaf Scholz alle prese col voto anticipato a febbraio.

Ma per i 40 capi di Stato e di governo presenti, inclusi i nostri Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (tra l’altro il presepe della cattedrale proviene dall’Italia), la “ricostruzione” di un mondo nuovo è tema comune e ineludibile. Peccato la notata assenza di Papa Francesco, una voce che da Notre-Dame sarebbe risuonata ancor più forte per il mondo che verrà.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova