Settant’anni sono pochi nella vita di una nazione antica come l’Italia. Eppure, l’anniversario che oggi si celebra non solo da noi (si pensi che il Parlamento del lontano Uruguay ha convocato una seduta straordinaria dei suoi deputati e senatori per omaggiare la nostra Repubblica), è pieno di novità che hanno cambiato, nel tempo, la storia del Paese. Intanto, il 2 giugno 1946 gli italiani hanno archiviato la secolare istituzione monarchica e le donne hanno esercitato il diritto di voto per la prima volta. La Repubblica ha partorito la Costituzione e ha accompagnato il miracolo economico a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Ha dato un ruolo internazionale all’Italia fra i grandi del G5 e poi del G7. Ha consentito lo sviluppo del made in Italy in tutti i campi della nostra identità, dalla moda al bel canto, dalla cultura del cibo alla cultura in senso artistico e universale, dallo sport all’industria dell’automobile, del manufatto, dell’artigianato. Nei suoi primi settant’anni repubblicani l’Italia un tempo solo agricola è diventata un amato punto di riferimento nel mondo.
Certo, tutto ciò è avvenuto spesso non grazie, ma a dispetto delle classi dirigenti che si sono alternate alla guida del Paese fra prima e seconda Repubblica, fra il vecchio e quasi dimenticato pentapartito coi suoi oppositori comunisti, missini e radicali e il bipolarismo nato nel 1994 sull’onda di Mani pulite e del nuovo sistema elettorale in prevalenza maggioritario. Quante occasioni perse ci ha purtroppo offerto il Palazzo. Quanti conflitti inutili tra i guelfi e ghibellini dell’attualità, quali si sono rivelate le fazioni e le coalizioni che si sono succedute. Quanta indignazione i cittadini hanno dovuto provare contro la corruzione dilagante, la verbosità inconcludente dei politici, il loro cambio di casacca permanente e tutti quei vizi che hanno trasversalmente indebolito i governi, mortificato le opposizioni e troppe volte colpito le istituzioni. Ma se la società italiana è cresciuta, se neppure i momenti più bui della criminalità mafiosa e delle stragi, del terrorismo e di Tangentopoli ci hanno scoraggiato, è per la capacità collettiva e istituzionale di rinascere e di risorgere.
In ottobre saranno un’altra volta i cittadini, come il 2 giugno 1946, a decidere il destino della riforma costituzionale da poco approvata dal Parlamento. Ecco, l’ultima parola è quella degli italiani: forse è il valore più grande della Repubblica, settant’anni dopo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi