Non a tutti i cittadini, ma neanche -ed è più grave- a tutti i partiti appare chiara la posta in gioco del voto europeo di sabato e domenica prossimi.
Che non è solo la decima volta, dalle prime elezioni del 1979, che gli italiani saranno chiamati a decidere chi mandare a Strasburgo dal carosello di liste e candidati.
Né si andrà alle urne per stabilire se il lavoro delle istituzioni dell’ampia e consolidata Unione europea, di cui l’Europarlamento rappresenta una colonna ancora leggera, ma espressione della volontà popolare e continentale, cioè il volto più democratico dell’Europa, debba consistere nell’imporre agli europei il tappo attaccato alle bottiglie di plastica.
Non comprendendo, che il fastidio creato ai consumatori da questa direttiva astrusa e ridicola, supera il giusto obiettivo che si voleva perseguire: indurre i cittadini a non buttare via uno dei prodotti monouso che più si ritrova sulle spiagge e poi finisce per inquinare gli Oceani.
Stavolta non sono in ballo le irritanti quisquilie, né l’abitudinaria statistica di un Europarlamento che troppo poco ancora pesa, e per questo s’assiste alla crescente astensione degli elettori.
L’8 e 9 giugno 2024 sarà, invece, l’ultimo appello sull’Europa che vorremmo avere: una pura e impotente espressione geografica dedita ai tappi di bottiglia? Oppure la naturale proiezione (proiezione, non cancellazione) degli Stati nazionali diventati Unione per non soccombere al Covid e alle crisi economiche, ai terrorismi e a Putin, ai rischi dell’intelligenza artificiale e alle difficoltà dell’immigrazione incontrollata, ossia al mondo così com’è, e che implica il fronte comune per quanti si riconoscono nella libera civiltà occidentale?
Il destino europeo dell’Italia l’hanno intuito Mazzini e De Gasperi e l’ha plasmato il desiderio di vivere in pace dopo due guerre mondiali. Ma oggi l’Europa vive perché è la nostra casa: il posto più forte e sicuro per affrontare le grandi sfide anche commerciali -la Cina è vicina- del tempo che è già arrivato. Siamo già europei, perché siamo italiani per sempre.
Ecco perché suona grottesca la polemica che la Lega ha aperto col capo dello Stato, Sergio Mattarella, rimproverandogli d’aver parlato, riferendosi alle imminenti europee, di una “sovranità da consacrare con quel voto” proprio alla vigilia della festa della Repubblica.
“Oggi non è la festa della sovranità Ue”, ha accusato il senatore Claudio Borghi, chiedendo, se fosse quella la posizione del presidente, le sue dimissioni. E Matteo Salvini: “Oggi non si festeggia l’Unione europea delle multinazionali che vogliono mettere fuori norma il made in Italy”.
Davvero essi temono che Mattarella voglia trasferire il Quirinale a Bruxelles? Che voglia rinunciare all’italianità, la bella identità di un Paese unico al mondo, appena riaffermata con la parata ai Fori imperiali?
“Ma mi faccia il piacere”, direbbe Totò.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova