L’hanno cercato ovunque in giro per il mondo, ma l’hanno trovato a casa sua, semplicemente. Nascosto nel cassettone di un letto matrimoniale.
Dopo 11 giorni di latitanza, Giacomo Bozzoli, imprenditore bresciano di 39 anni condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio dello zio Mario e la distruzione del suo corpo gettato nel forno della fonderia di famiglia a Marcheno, in provincia di Brescia, è stato arrestato dai carabinieri nella sua villa di Soiano sul lago di Garda. Ma questa è solo la fine della storia.
L’inizio risale all’improvvisa scomparsa di un uomo che non doveva essere lasciato senza un minimo di controllo dopo ben due condanne inflitte in primo e secondo grado, e per un grave delitto. Nove anni trascorsi in libertà dal giorno dell’omicidio e unico imputato del processo: possibile che a nessuna istituzione preposta sia venuto il dubbio del rischio della fuga? Possibile che nessuna cautela sia stata predisposta dopo il primo ergastolo, neppure dopo il secondo, neanche alla vigilia della Cassazione chiamata al giudizio di legittimità, cioè a dire l’ultima parola?
Né si può ricorrere alla presunzione d’innocenza prevista dalla Costituzione, e che richiede una sentenza definitiva. Sia perché tale principio forse appare un po’ meno “presunto” dopo ben due sentenze di massima condanna, in attesa della terza e ultima di Cassazione. Sia perché l’esigenza di non perdere di vista il condannato, se non suggeriva comunque un suo fermo in via eccezionale proprio per il “pericolo di fuga” fatalmente avveratosi, imponeva almeno un’attenzione particolare da parte di chi di dovere.
La tecnologia offre svariate modalità alle autorità competenti per “tenere d’occhio” una persona già due volte condannata. Si sarebbe, oltretutto, evitato una “caccia all’uomo” per l’Europa (e ben oltre) con l’inevitabile coinvolgimento anche del figlio piccolo -un bimbo di 9 anni- del ricercato. Perché Bozzoli nel frattempo era arrivato ed era stato fotografato con la famiglia a Marbella (sud della Spagna).
Mai come in questo caso si rivela quanto sia più importante prevenire che dover correre ai ripari. A prescindere dal fatto che il condannato si sia sempre dichiarato innocente, e che il suo comportamento apparso tranquillo in tutti questi anni di giudizi non abbia insospettito gli investigatori, inducendoli a non adottare le più elementari precauzioni.
Ora che il fuggitivo è stato preso, e con 50 mila euro nel marsupio, si approfondirà il breve periodo di latitanza che non doveva avvenire. Quell’avanti e indietro con l’Italia, dove sarebbe rientrato, secondo chi lo monitorava, nelle ultime 24 ore con un’auto a noleggio. L’avevano localizzato fin dall’alba, attendendo il momento più propizio per intervenire. A detta degli investigatori, l’imprenditore, che si è fatto crescere barba e baffi, non voleva costituirsi.
Ma qui torniamo alla fine di una storia, che non doveva neppure cominciare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova