L’antica filosofia cinese ammoniva sull’arte della guerra: se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia. E’ quello che sta avvenendo oggi con il terrorismo di là e di qua dell’Oceano, in America e in Francia, attraverso una variante finora sconosciuta che lascia i governi interdetti: l’attentatore fai da te. Non più, dunque, neppure il lupo solitario o la mini-cellula di fondamentalisti che erano pur sempre in contatto con l’autoproclamatosi Stato islamico. Che agivano su mandato della sua aberrante ideologia. Che trovavano formazione “combattentistica” e ispirazione politica nelle sue organizzazioni di guerra sul campo.
Adesso è l’ora del fanatico che s’inebria dentro casa coi proclami e le bandiere nere trovate sul web. Che sfoglia (neppure legge) qualche bibbia della violenza. Che si costruisce fra i marciapiedi del quartiere il suo mondo della vendetta contro il mondo della libertà, e poi spara nel mucchio per sfogare la sua frustrazione e la sua follia. A crimine compiuto, arriverà la pronta rivendicazione dell’Isis, che sotto il profilo militare sta subendo importanti sconfitte. E che perciò ben volentieri si rifugia nella propaganda: battezzare questo o quell’attentatore come opera -postuma- del califfato.
Il perfetto identikit del terrorista che teorizza in proprio è l’americano ventinovenne Omar Seddique Mateen, l’assassino omofobo della strage di Orlando già segnalato dal Fbi. Ma sembra anche il ritratto del francese venticinquenne Larossi Abballa, ucciso dopo aver accoltellato a morte un capo della polizia e sgozzato la sua compagna sotto lo sguardo atterrito del loro bambino di tre anni. Anche lui era un osservato speciale, addirittura condannato a tre anni di carcere nel 2013, perché accusato di preparare atti terroristici. E anche per lui c’è stata la compiaciuta appropriazione dell’Isis come “uno dei nostri”.
Conoscere questo nuovo nemico, il terrorista self-service, è decisivo per non sottovalutarlo, come finora hanno invece fatto i governi occidentali, che tendono a ragionare con un garantismo anacronistico, non comprendendo la gravità degli eventi. Se i sospettati Mateen e Abballa avessero avuto condanne rigorose in virtù di tutto quello che già chiaramente emergeva sul loro conto, forse oggi non piangeremmo cinquanta innocenti ammazzati in America e altri due in Francia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi