Non era mai successo, ma anche nel web c’è sempre una prima volta. In queste ore almeno settantaquattro Paesi, tra i quali l’Italia, sono stati vittime di un massiccio attacco informatico con un risvolto che potrebbe far sorridere, se non fosse invece tremendamente serio e grave: gli hacker hanno chiesto un “riscatto” dell’equivalente di 300 dollari in bitcoin, la moneta elettronica, per ogni singolo computer preso di mira come condizione per porre fine all’offensiva telematica. E così all’improvviso il mondo scopre di essere catapultato nella vera, anche se invisibile, terza guerra mondiale, che non è fatta solo dei tanti conflitti a scacchiera che insanguinano varie parti del globo, ma soprattutto di un bombardamento anonimo e incontrollato che può mettere a rischio i principali sistemi di organizzazione sociale, colpire l’economia e rendere fragile la stessa sovranità di uno Stato. Perché questi moderni e organizzati pirati della Rete prendono di mira aziende di comunicazione e ospedali, sistemi di difesa e alta funzionalità delle istituzioni. Il rischio è che l’universo ripiombi nel buio, sia perché risulta difficile individuare in tempo da dove provengano gli attacchi per prevenirli, sia perché il nemico sposta di continuo e oltre ogni frontiera il suo armamentario virtuale. Virtuale, eppure in grado di mettere in crisi le nostre democrazie per le quali la tecnologia è come l’aria che si respira: impossibile farne a meno. Coincidenza vuole che proprio ieri al G7 dei ministri finanziari si è posto il problema di come tassare con equità i colossi che offrono i servizi di internet. L’internazionalizzazione ha reso questo campo economicamente minato, perché privo di regole e con ogni azienda che fa gli affari suoi dove più le conviene sotto il profilo fiscale, mentre l’Europa chiede finalmente di avere voce in capitolo. Sono due, perciò, le questioni che viaggiano in parallelo: come fermare la guerra scatenata sul web con l’obbiettivo di destabilizzare i governi e le popolazioni, e come dar vita a un sistema nel quale gli speculatori abbiano sempre meno potere e privilegi e gli utenti sempre migliori servizi. L’emergenza informatica è una priorità per chi vuol difendere i suoi principi di libertà, di sicurezza e di riservatezza. Al maxi-attacco degli hacker serve una risposta politica. E serve che le nazioni si scambino ogni informazione sul sempre più insidioso “attimo fuggente”: un semplice colpo di clic per mandare il mondo intero nel panico.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi