Con il solito sistema di addossare a chi difende gli aggrediti le colpe che sono degli aggressori, Vladimir Putin mette in guardia il presidente francese, Emmanuel Macron, e il ministro degli Esteri britannico, David Cameron. Lo fa tramite Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino, che ha definito “molto pericolose” le dichiarazioni del primo e ha indicato il rischio di un’“escalation diretta” che “potrebbe potenzialmente rappresentare un pericolo per la sicurezza europea” per quanto ha affermato il secondo.
Ma che è successo di così sconvolgente, più ancora della guerra degli oltre due anni scatenata da Mosca contro l’Ucraina, da sollecitare questa presa di posizione a metà fra l’avvertimento e la propaganda?
E’ successo che, a fronte della caduta dell’Ucraina (per adesso solo un’ipotesi, ma non peregrina), Macron sia tornato a non escludere l’invio di soldati della Nato in aiuto alla resistenza di Volodymyr Zelensky. Anche tralasciando l’enorme differenza negli armamenti e nel rapporto di forze tra militari ucraini e russi al fronte.
Cameron ha invece difeso il diritto di Kiev d’usare armi britanniche per colpire la Russia.
Sono pubbliche riflessioni su eventuali scenari e di sicuro non dettate da calcoli elettorali. Prospettare l’invio di truppe in soccorso al popolo ucraino suona, all’opposto, come mossa impopolare per le opinioni pubbliche stanche del conflitto e timorose che possa espandersi fin dentro l’Ue. E comunque i governi del continente non condividono l’opinione di Macron. “Noi non siamo in guerra con la Russia e non manderemo soldati italiani in Ucraina”, ha ribadito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Purtuttavia, per la seconda volta Macron ripropone un interrogativo che aleggia nell’Ue ancora senza risposta: che succede, se crolla l’Ucraina? Che cosa dovrebbero fare i Paesi occidentali impegnati a sostegno di Kiev, se la marcia dei russi dentro il territorio invaso diventasse incontenibile?
E l’eventuale vittoria sul campo, appagherebbe gli appetiti neo-imperiali di Putin o, al contrario, lo incoraggerebbe a prendere di mira le Repubbliche baltiche, già bottino della vecchia Urss e con minoranze russofone? Lituania, Estonia e Lettonia, oggi Paesi indipendenti nell’Unione europea e nella Nato, si sono liberate da Mosca nei primi anni Novanta.
Sono domande che gli osservatori pongono con pragmatismo, non certo con l’intento di estendere l’incendio. Domande alle quali s’aggiungono l’accusa del governo tedesco di attacchi informatici degli 007 di Mosca contro imprese di logistica, difesa e aerospazio e l’allarme lanciato dal capo di Stato Maggiore, Carmine Masiello, in Italia: il nostro esercito “va potenziato in fretta”. Più tecnologia e soldati per dar vita a una capacità di deterrenza “reale e credibile”.
Tante e diverse voci forse per dire la stessa cosa: guai a sottovalutare i rischi della guerra oltre la guerra.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova