La guerra di Putin oltre ogni “linea rossa”

Nella guerra scatenata da Vladimir Putin è impossibile stabilire quale sia la “linea rossa” dell’orrore che non doveva essere superata. Tant’è che la Corte penale internazionale ha emesso da tempo un mandato di arresto nei confronti del presidente della Federazione Russa per crimini di guerra.

Ma l’attacco missilistico all’ospedale pediatrico di Kiev, le cui terribili e strazianti conseguenze il mondo intero ha potuto vedere in tv con i bambini colpiti da tumore che piangevano tra i loro genitori e fra le macerie (un attacco che persino l’Onu, aduso all’ecumenismo e all’ideologismo in tante situazioni, stavolta ha condannato con forza), è l’atto più disumano da cui sarà difficile tornare indietro: qualunque e sempre più auspicabile iniziativa per fermare il conflitto, non potrà più prescindere dal giudicare il male tanto platealmente inflitto a un popolo aggredito con la violenza dell’invasione e delle armi dal 24 febbraio 2022. Condito, il male, dall’ulteriore e offensiva dichiarazione di Mosca, che ha definito il suo raid “una trovata pubblicitaria di Kiev”.

E’ questa non l’unica, ma l’ultima vicenda che ha spinto la Nato, riunita per tre giorni a Washington per celebrare i suoi 75 anni di esistenza a difesa dell’Occidente, a dichiarare “irreversibile” il percorso di adesione dell’Ucraina all’alleanza dei 32 Paesi euroatlantici.

Ma nel frattempo è esploso il caso politico dell’ungherese Viktor Orbán, presidente di turno dell’Unione europea che, non richiesto, senza mandato e contravvenendo alla posizione unanime contro l’aggressore presa dall’istituzione da lui rappresentata, è volato dall’amico Putin (e pure, “ad abundantiam”, da Xi JinPing a Pechino sempre in nome di una presunta missione di pace; il tutto preceduto da un gelido incontro salva-faccia con Zelensky).

Alcuni Paesi, tra i quali la Germania e i Baltici, non si accontenterebbero del “chiaro avvertimento” a cui Orbán è destinato da parte dei 27 dell’Ue, ma valuterebbero se e come poterlo destituire da una presidenza perfino umiliata da Putin: l’unica cosa che ha concesso al cortigiano è stato l’abbraccio. Nelle stesse ore, oltretutto, in cui un tribunale russo formulava un mandato di arresto per Yulia Navalnaya, vedova dell’oppositore russo Alexei Navalny, trovato senza vita, guarda caso, in un carcere in Siberia lo scorso febbraio. Due mesi di condanna in contumacia per Yulia, con l’accusa di estremismo.

In questo scenario tutt’altro che rassicurante, sul vertice della Nato pesa l’interrogativo sulla continuità statunitense nello sforzo economico e militare a sostegno dell’Ucraina. Fra quattro mesi si vota per la Casa Bianca e, in caso di un suo ritorno, è nota la posizione di Donald Trump e dei repubblicani più accondiscendente verso Putin in confronto a quella espressa dal presidente Joe Biden e dai democratici.

Nell’attesa, la Nato prepara nuove misure per rafforzare la difesa aerea ucraina.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova