Da oltre ottant’anni, cioè dalla seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania nazista, la Russia non era stata mai più invasa.
Basta questa circostanza per sottolineare l’effetto della sorprendente incursione ucraina a Kursk il 6 agosto. Ma stavolta è l’aggredito -non il folle imperialismo pangermanico di Hitler- a varcare la terra del suo aggressore. E a mantenerla. E ad avanzare, facendo saltare un altro ponte (mentre i russi scavano trincee al fronte, spostando migliaia di soldati dai territori occupati in Ucraina). E infine a puntare verso l’importante centrale nucleare, dopo aver preso di mira la rete energetica dell’area.
Cambierà l’esito, altrimenti scontato, di una guerra che non doveva neppure cominciare? Certamente no, tanta è la differenza militare e politica fra una nazione molto più piccola, che combatte per difendersi, e un regime che può permettersi di mandare diciottenni al fronte come carne da macello. Perché le madri di quei poveri ragazzi nessuna marcia oseranno mai organizzare sulla Piazza Rossa, come le mamme argentine dei figli “desaparecidos”, scomparsi, nella Plaza de Mayo dal 1977.
Totale disparità rispetto a un regime che si permette di colpire scuole, ospedali e civili coi suoi missili, senza dover rendere conto alla propria e silenziata opinione pubblica.
Ma il blitz di Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che ha già dichiarato di non voler occupare alcun territorio russo, rimescola le carte.
Rivela che il nemico sarà pure più grande e grosso, ma non invincibile. Che Putin controlla tutto a Mosca, ma non nei suoi lontani dintorni. E che gli ucraini, vittime della guerra infinita, ora hanno un’insperata speranza: la prospettiva di cercare di riprendersi il proprio territorio conquistato dai russi (circa un quinto del Paese) non sull’onda di un conflitto impari, e perciò alla lunga perdente, bensì in cambio della restituzione a Mosca di un’area molto importante sotto il profilo energetico. Almeno una piccola base di partenza per un negoziato vero, quando arriverà. Comunque l’intervento segnala che alla pace non si arriva semplicemente invocandola, o esortando gli ucraini alla resa, ossia cessando di fornire loro le armi a difesa. Si arriva svelando le fragilità del regime moscovita, e dando alla parte aggredita una minima possibilità di scambio, non l’umiliazione della bandiera bianca.
Non per caso l’Occidente ha giustificato in pieno l’azione ucraina. E Kiev contrasta la presenza paramilitare russa anche in Africa, nell’ambito della guerra civile in Sudan, con invio di ufficiali per contribuire a indebolire il nemico in casa.
Un nemico che all’Ucraina non perdona l’affronto subìto, annunciando ritorsioni pesanti. “Si fermi o sarà distrutta”, minaccia Lukashenko, il presidente bielorusso alleato di Putin. Riecco lo spettro nucleare.
Ma ormai la scacchiera geopolitica s’è trasformata nella guerra fra le due kappa: Kiev e Kursk.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova