La libertà si può anche cucire a mano. Lo facevano di nascosto le coraggiose donne alle prese con la stoffa verde, bianca e rossa della bandiera non ancora nazionale. Correva l’anno 1848 e il Risorgimento viveva le sue Cinque Giornate di Milano.
La vittoria può anche arrivare sotto il sole di un Tricolore che sventola, come quello che i ragazzi del ’99 e i giovani soldati dell’epoca portavano alla vigilia del 4 novembre 1918, entrando a Trento e a Trieste in festa. Finisce la terribile prima guerra mondiale e “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”, secondo il bollettino del generale Diaz, che così descriveva la ritirata degli austriaci sconfitti.
La felicità può volare oltre ogni confine, quando ti accorgi di essere l’uomo più veloce del pianeta e di chiamarti Marcell Jacobs. E per comunicarlo all’universo, ti avvolgi nella materna bandiera italiana.
E anche l’amore può essere raccontato con un gesto struggente e paterno, come fa Edmondo De Amicis con l’episodio della piccola vedetta lombarda. Un ragazzino orfano di appena dodici anni che si era appena sacrificato da italiano. L’ufficiale presente “levò dalla finestra la bandiera tricolore, e la distese come un drappo funebre sul piccolo morto, lasciandogli il viso scoperto…ed egli se ne dormiva là nell’erba, ravvolto nella sua bandiera…”.
Ci sarà, allora, una ragione, se gli scalatori, forse le persone più solitarie al mondo -come annotava Margaret Thatcher, a sua volta solitaria Lady di ferro- quando arrivano in cima a un ottomila e ai loro sogni, sentano il bisogno di piantare la bandiera della loro Nazione. Per ricordare da dove vengono, per condividere quel momento divino e irripetibile.
La Patria è il contrario della solitudine e la bandiera è proprio l’emblema dell’altruismo, del sentirsi tutti appartenenti allo stesso sentimento a prescindere da ceto sociale, genere, religione, opinione politica.
Da tempo anche noi abbiamo riscoperto non solo la bellezza dei tre colori caldi della nostra bandiera, ma anche i valori che trasmettono e il piacere di sventolarli. Anche per noi sull’Everest c’è l’Italia.
Il tempo della riscoperta ha una data d’inizio: la magica notte dell’11 luglio 1982, quando la Nazionale di calcio batteva i tedeschi a Madrid, conquistando il suo terzo Mondiale. E una parola che più italiana non si può -“Rossi”- faceva il giro del mondo, perché quell’attaccante col sorriso, e vincente, era lo stereotipo più bello che potessimo esportare.
Ma il tempo della riscoperta ha dispiegato il suo patriottismo migliore con un presidente della Repubblica dal nome risorgimentale: Carlo Azeglio Ciampi.
A partire dal 1999, fu lui a rompere l’insopportabile e impopolare tabù con cui la politica dominante aveva ossessionato la prima Repubblica: guai a esprimere il tranquillo orgoglio di essere italiani.
Invece Ciampi invitò i cittadini a cantare l’inno di Mameli, a visitare l’Altare della Patria, a “esporre nelle nostre case e a tenere con cura la bandiera tricolore”, come diceva. “E’ un simbolo vivo e attuale, che dovrebbe essere donato alle coppie di sposi e a ogni nuovo cittadino italiano”. Ciampi spiegava anche perché fossero così importanti, quei tre colori inconfondibili: “Il Tricolore è il simbolo moderno di un popolo antico, ricco di cultura, di tradizioni, di arte e di nobiltà d’animo. Ma anche sofferente per secoli per la mancanza di un’insegna che lo unisse, che rappresentasse la volontà di un destino comune”.
Se prima di Ciampi faceva notizia l’atleta che cantava l’inno nazionale, oggi lo fa chi non lo canta. Ma l’oggi ha pure tanti volti e risvolti nella gioia di essere italiani e riconoscenti a quella formidabile generazione di donne e uomini che, a costo anche della loro vita, portarono all’indipendenza nazionale con la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861.
Il Tricolore oggi sventola nel Belcanto, visto che nella metà dei teatri del mondo si eseguono opere italiane e cantate in italiano. Vola nello spazio, dove AstroSamantha ha fatto vedere di che pasta sono fatte l’ingegneria e l’industria, la fisica e la matematica nostrane. La bandiera identifica eccellenze assolute, come la moda e il cibo, l’arte e lo sport, la musica e il cinema. Ma anche la professionalità delle Forze Armate nelle missioni internazionali e l’impegno dei volontari, singoli o associati, nelle aree più dimenticate della Terra. Esiste uno stile di vita italiano riconosciuto e riconoscibile, che è frutto di lavoro, creatività, condivisione di valori importanti da parte di un popolo pur individualista. Che però al momento della verità, bella o brutta che sia, sa unirsi per dare il meglio di sé.
Accade nei festeggiamenti dei grandi successi sportivi. Ma accade anche nell’ora dei drammi collettivi, da Nassiriya -giusto vent’anni fa- al Covid, il nemico che s’è insinuato, invisibile, fin dentro le nostre case, appena tre anni fa. Ecco il segreto italiano: non siamo mai soli, all’ombra del Tricolore.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma