Elezioni? Troppo poco. Per i despoti, costretti alla finzione democratica, molto meglio il plebiscito. Meglio esagerare nel voto e nella partecipazione dei cittadini: tanto è tutto prestabilito all’insegna del più impudente e impunibile arbitrio.
E’ andata, dunque, in scena la quinta e scontata “rielezione” di Vladimir Putin, 71 anni, alla presidenza di una Russia blindata, oppressa (l’unico oppositore vero, Alexei Navalny, è stato fatto fuori mentre era nella galera siberiana), e impegnata da due anni in una guerra neoimperialista.
Ma nessuno in Patria è oggi in grado di chiamare il regime a rispondere dell’aggressione e dei crimini in Ucraina (per i quali pendono, dal 17 marzo 2023, due mandati d’arresto per Putin da parte della Corte penale internazionale), né dei giovani figli della grande madre Russia mandati a morire come soldati, a migliaia, per volontà di potenza dell’ultimo Zar.
E così all’ombra di Navalny, l’eroe che ha donato la vita per dimostrare che un’altra Russia è possibile, le “elezioni” si sono svolte come da copione.
Decine di arresti in varie città, alcune “code di dissenso” ai seggi a mezzogiorno, specie a Mosca e a San Pietroburgo (come richiesto, all’estero, dalla leader di quel che rimane dell’opposizione, cioè della vedova di Alexei, Yulia Navalnaya), vigilanza militare fin dentro le urne e tutto ciò che doveva rendere l’evento del tutto innocuo per il leader senza rivali. L’incoronazione tramite un voto che poco poteva avere di libero e di trasparente. Tant’è che Putin avrebbe sfiorato il 90% dei consensi.
Ma, a prescindere dalle percentuali, l’esito concreto è che con lui il mondo dovrà fare i conti ancora per sei anni, fino al 2030. E forse per ulteriori e altri sei grazie alla Costituzione che proprio Putin -al potere dal 31 dicembre 1999- ha voluto riformare.
Con questa prospettiva “senza fine”, intere generazioni nel Paese rischiano di non conoscere alternative al di fuori di quell’uomo solo al comando. E l’Occidente di doversi confrontare -potenzialmente fino al 2036- con una persona inseguita dalla giustizia internazionale come un criminale di guerra, ma che è il presidente di un grande Paese decisivo per gli equilibri geopolitici nel mondo.
Quanto basta per indurre a riflettere i governi europei e quello nordamericano. Che a novembre sarà alle prese con la sfida per la Casa Bianca tra l’uscente e democratico, Joe Biden e l’ex presidente e repubblicano, Donald Trump alla ricerca della rivincita.
La certezza di Putin al Cremlino si scontra con l’incertezza dei leader dell’Unione europea. Che sono uniti nell’impegno di sostenere l’Ucraina, ma divisi sul come e sul fino a quando.
Ma è proprio la politica del Putin “riconfermato” a rendere sempre più attuale il grande interrogativo ancora senza risposta: che succede, se cade l’Ucraina?
Anche il destino europeo s’affaccia alla frontiera di Kiev.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova