Sul debito pubblico “è suonata la sveglia”, come dice il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che per la legge di bilancio da 21 miliardi approvata dal governo deve tenere un orecchio in ascolto dell’Europa e l’altro dei giudizi di quattro Agenzie di valutazione in arrivo e della reazione dei mercati. Dunque, settimane di autunno molto caldo.
Ma intanto sulle pensioni dei medici è già allarme rosso.
La categoria minaccia lo sciopero generale per i tagli previsti dalla manovra ai futuri assegni che riguarderebbero, secondo i sindacati, 50 mila persone in procinto di appendere il camice bianco al chiodo. Tanto che, provocatoriamente, ma non troppo, le associazioni potrebbero invitare chi ha i requisiti ad andare in pensione subito per evitare la forte decurtazione per ogni anno e per tutta la vita. Ipotesi che aggraverebbe la mancanza di personale patita dal Servizio sanitario nazionale.
In soli 4 anni, quando all’epoca Covid medici e infermieri erano decantati come nella vecchia canzone di Guccini (“gli eroi son tutti giovani e belli”), i conti pubblici hanno azzerato anche il romanticismo di chi ci ha salvato.
Forse oggi il governo ha scoperto, a futura memoria, che non si può vendere la pelle dell’orso in campagna elettorale con promesse roboanti e perciò disattese nella finanziaria blindata, cioè con la maggioranza che s’è impegnata a non presentare emendamenti. Prerogativa destinata alle sole opposizioni. Ma ha anche capito che la coperta economica è cortissima.
Se le risorse sono state trovate per quasi 14 milioni di lavoratori dipendenti con la conferma del taglio del cuneo fiscale per un anno, se quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi con penalità sull’assegno “contributivo”) è stata prorogata, da qualche altra parte bisognava tirare la cinghia. E la stretta è caduta su una parte dei futuri pensionati pubblici.
Dunque, i nodi della manovra arrivano all’esame del Parlamento.
Il governo rivendica la sua scelta politica e non solo tecnica, per esempio con misure a favore della natalità. Le opposizioni reclamano risorse per la sanità e denunciano l’aumento di tasse fatto con misure specifiche.
Resta la questione di fondo: siamo allo stesso tempo il sesto Paese più tassato al mondo e con solo una minoranza di italiani che paga la maggioranza delle imposte. Se non si affronta il male oscuro e ben chiaro, ogni governo avrà la coperta corta e ogni opposizione glielo farà notare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova