Istruzioni per l’uso ufficiale dell’Inno di Mameli. E l’Italia finalmente canta con la sua voce

D’accordo, in Italia non c’è niente di più definitivo del provvisorio. Ma aver scritto l’ultima parola formale, cioè di legge, per affermare che il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli, è il motivo che ci rende felici dal Brennero a Pantelleria, e che commuove milioni di nostri connazionali all’estero, e che è patrimonio dell’umanità grazie alle infinite volte in cui suona dai podi dell’universo sull’onda delle vittorie sportive dei nostri campioni di Azzurro vestiti, è il più rassicurante dei traguardi.

L’ha appena tagliato, il simbolico traguardo dell’unità nazionale, il Consiglio dei ministri, approvando il decreto attuativo per stabilire le modalità con cui far risplendere il motivo, intenso e incisivo, che fa venir la pelle d’oca, e talvolta persino la lacrima, al solo ascoltarlo.

E pazienza se sono passati sette anni dalla legge del Parlamento che tali modalità richiedeva: erano pur sempre passati ben 79 anni dal ruolo, appunto, “provvisorio” che era stato assegnato al canto risorgimentale musicato da Michele Novaro nel 1847 e scritto da Mameli, poeta morto ventenne per la Patria, come da tempo si può tornare a sottolineare in linea con la parola scolpita nella Costituzione della Repubblica.

Novaro e Mameli, i primi due “Fratelli d’Italia” troppo a lungo dimenticati.

Ma, per chi ama l’Italia, l’oblio non è per sempre. Neppure le polemicucce che s’alternarono nei tempi perfino tra le forze politiche sulla presunta inattualità di un inno dalle parole invece così evocative. Un inno anche alla libertà scritto da un ragazzo italiano e idealista.

E poi i tentativi di relegarlo a marcetta zum-pa-pa, finché il Maestro Riccardo Muti -e poi altri come lui-, hanno spiegato ai saccenti o semplicemente agli ignoranti il valore anche melodico del nostro Canto.

Ma il merito di avergli dato dignità nazionale si deve a Carlo Azeglio Ciampi, che dal Quirinale liberò gli italiani dal complesso di colpa di italianità a cui li aveva condannati una politica senza identità, che si vergognava persino di pronunciare anche l’altra espressione incisa nella Costituzione: Nazione. Quelli là ricorrevano a paese, pure con la minuscola.

Acqua passata. L’Italia canta finalmente con la sua voce.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma